Contrariamente alle aspettative di molti, il mese di ottobre ha certificato il fallimento delle negoziazioni finalizzate all’acquisto del Monte dei Paschi di Siena da parte di Unicredit. E, al momento, nello scenario italiano non sembrano delinearsi, almeno a breve, nuove ipotesi di fusioni, così come lasciano presagire le presentazioni dei piani di sviluppo, sia tra circa un mese di Unicredit orientato alla politica dello “standing alone”, sia di Banco Popolare BPM, l’istituto creditizio nato dall’unione tra Banca Popolare di Verona e Banca Popolare di Milano, annunciato per questa settimana e in cui si prenderà atto del mancato tentativo di fondersi con BPER Banca.
Se, pertanto, al momento in Italia la stagione delle fusioni bancarie sembra vivere una fase di stanca, quali previsioni si possono avanzare per il prossimo futuro?
Un interrogativo al quale non è semplice fornire risposte certe, ma sui cui incombe anche l’introduzione nella nuova legge di bilancio di un limite dei benefici fiscali a 500 milioni di euro per le fusioni realizzate entro il primo semestre del 2022.
Si tocca, quindi, innovandola la disciplina delle imposte differite attive (Deferred Tax Assets – DTA nella terminologia inglese) con cui si consente agli organismi bancari di attribuire la qualifica di crediti di imposta alle attività per imposte anticipate iscritte in bilancio. Per inciso, si ricorda che attualmente il regime di beneficio fiscale prevede la trasformazione delle imposte fiscali differite in credito fiscale nella misura del 2% degli attivi della banca di minori dimensioni coinvolta nel processo di fusione, senza la fissazione di alcun tetto. Una misura, che, peraltro, potrebbe essere tuttora applicata in caso di fusione realizzata entro il corrente anno.
Alla base del provvedimento governativo, che certamente non sembra spingere al consolidamento del settore bancario, la valutazione dello scarso successo dell’attuale normativa che ha visto, almeno finora nel 2021, un unico caso di applicazione, quello del Crédit Agricole con il Credito Valtellinese. Decisamente non molto per continuare a destinare soldi pubblici in questa direzione!