Kosovo scuola

Kosovo: gli occhi di un’eterna guerra

In un mondo che rincorre la notizia sembra quasi impossibile andare a ripescare ciò che è stato del passato. Eppure, da quello stesso passato, ce ne sono di cose da imparare. Ci siamo mai fermati a pensare a cosa ne sarebbe stato di noi, del nostro Paese, della nostra storia, se nessuno avesse avuto il coraggio e la forza di ricostruire?

Ricostruire, ovvero costruire di nuovo. La capacità di ridare forma alle macerie. La capacità di riportare in vita, a volte in meglio, ciò che è stato distrutto.

E se a distruggersi fosse la nostra anima? Un’antica arte giapponese chiamata Kintsougi, ci insegna che è possibile riunire i pezzi unendoli con qualcosa di meraviglioso, come l’oro. Le “crepe” vanno valorizzate, non nascoste.

Kosovo

Kosovo 2022. Fiammelle mai spente 

Laddove vi è un popolo distrutto, vi è colui che distrugge e colui che ricostruisce. Mettere piede in un territorio che ha vissuto una guerra non troppo lontana, significa partire senza aspettative, osservare, prendere informazioni, immagazzinarle e vivere emozioni. Ma non raccontarle.

Perché non raccontare? Un bravo scrittore deve saper fare bene una cosa: riuscire a far vivere al lettore un’esperienza come se quest’ultimo la vivesse in prima persona. Allora quante cose poter dire sul Kosovo? Un’infinità eppure, è come se le parole non uscissero, come se vista a colpo d’occhio fosse più facile mettere in piedi il primo mattone per ricostruire una casa piuttosto che raccontare quegli occhi.

È sicuramente più facile per Miroslavka Simonovic che sta aiutando le donne a Gorazdevac, dando loro un centro di ascolto, di accoglienza. Che le fa sentire donne nonostante dentro le loro case e i loro uomini le trattino come se fossero oggetti.

Ma nel XXI secolo, direte voi? Sì esatto, proprio in questo secolo continuiamo a dare la caccia alle streghe, e solo perché in una parte del mondo credono sia giusto così. O forse perché ci hanno insegnato che uomini e donne debbano essere in eterna lotta tra loro, a tal punto da odiarsi, da credere che sia giusto mettere maschi contro femmine, che insieme non possano far parte dello stesso mondo senza che entrambi finiscano in una lotta di supremazia.

Forse lo sa ancora meglio Padre Sava, che protegge il suo Cristo con la spada nel Monastero di Visoki Decani. Una chiesa ortodossa serba contenente il più grande affresco bizantino che sia giunto fino a noi. Un “padre” visibilmente stanco, ma fiducioso che quella spada possa portare speranza e non infliggere sofferenza.

Monastero Kosovo

E poi ancora potrebbe saperlo Suor Lindita Spaqi che accoglie bambini di qualsiasi religione, che ogni giorno insegna loro che la guerra non è mai esistita o che è ormai talmente lontana da non averne paura la notte. Agli adulti, questo, non puoi raccontarlo. Nei loro occhi si riescono ancora a vedere le bombe. Come si faccia a togliere questa paura, nessuno può avere la presunzione di saperlo.

Ecco, loro sono il racconto che non si riesce a fare, mentre ai soldati dell’Esercito e ai Carabinieri della MSU italiani della Kosovo Force, ogni giorno al nostro fianco per accompagnarci, spetta quella parte del racconto “tecnico”, quello della mano che aiuta a ricostruire. Per tendere una mano, tuttavia, serve un cuore, lo stesso che i nostri militari hanno avuto,  sin dal primo giorno del loro arrivo in Kosovo nel 1999 e che è rimasto immutato ancora oggi, nei confronti di quel popolo che li ha accolti confidando nella loro protezione.

Se non dico un popolo che si è lasciato salvare è perché la storia ci insegna anche questo: che non necessariamente essere salvati significa essere liberi. O almeno questo è ciò in cui credo. E lo faccio soprattutto oggi, in un tempo in cui le tensioni sembrano non essere finite. Fiammelle messe da parte, mai spente del tutto e pronte a riprendere vita con un semplice soffio. Scintilla – se così può essere definita – come quella che sta riportando la paura nel nord del Kosovo, quella in cui in una normale giornata di agosto l’Unione Europea ha imposto ai serbi di utilizzare targhe e documenti kosovari. Una legge pari a una libertà negata e a pensarlo è lo stesso popolo serbo, ma lo fa anche la Russia, che lo appoggia. Ancora una volta NATO contro Putin. Cosa aspettarsi, quindi, il primo settembre?

Al termine di un articolo o se preferite di un racconto, esco dal ruolo che abbiamo avuto in Kosovo e ringrazio: Maurizio Mele, Eugenio Giordano, Anna Zoppellaro, Davide Cassinelli, Marco Javarone, Daniele Pussig, Andrea Cataldo, Edoardo Guarnaccia, Enzo Esposito. Non me ne vogliano per non aver messo il grado e il loro ruolo in questa avventura. Se non l’ho fatto è perché esiste la parte razionale e quella emotiva e dico grazie per quello che ci avete dato come uomini e non solo come uomini in divisa.

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