Vivere in un mondo in guerra

In questo mondo senza pace proviamo a ricordare alcune delle crisi più dimenticate, come quella nel nord del Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado. Qui dal 2017 la popolazione è vittima di violenti attacchi da parte di formazioni di matrice jihadista che fanno terra bruciata nei villaggi e mirano al controllo delle risorse: sullo sfruttamento dei giacimenti di gas sono infatti in gioco interessi economici di grandi aziende internazionali, anche europee. All’inizio del 2022 erano migliaia i morti, i feriti e oltre 800.000 gli sfollati.

Nella Repubblica Democratica del Congo l’Ituri è una delle province più colpite da una violenza folle, insieme al Nord Kivu, al Sud Kivu e al Tanganica. Uomini, donne e bambini sono stati uccisi a colpi di machete, centri sanitari e scuole sono stati saccheggiati e interi villaggi dati alle fiamme. Le ultime offensive militari sono portate avanti dal gruppo armato M23. Oltre 5.000 i morti negli ultimi due anni. Il conflitto armato nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo ha lasciato mezzo milione di sfollati e circa 250 mila persone in condizioni estremamente difficili in rifugi di fortuna, in lotta per la sopravvivenza

In Mali i jihadisti impediscono ai contadini di mietere le risaie, bruciano i loro campi e attaccano i lavoratori quando cercano di provvedere al raccolto, con centinaia di migliaia di sfollati. 

In Somalia la siccità prolungata e la carestia, combinata con la povertà estrema e una storica instabilità politica, hanno spinto molte persone ad imbracciare le armi nel gruppo estremista islamico al-Shabab.

Nella fascia africana del Sahel sono i cambiamenti climatici e la siccità, insieme all’espansione dell’agricoltura intensiva, a creare conflitti per l’accesso alle risorse come acqua e terra tra agricoltori e pastori. Da ricordare gli atti violenti dei pastori fulani in Nigeria, che hanno coinvolto anche la Chiesa cattolica, oggetto di attentati e stragi.

Il conflitto in Yemen tra la coalizione governativa appoggiata dall’Arabia Saudita e i ribelli Houthi filo-iraniani ha avuto inizio il 26 marzo 2015. Oggi è la più grave crisi umanitaria al mondo, con circa 20 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza. In 7 anni oltre 24.600 attacchi aerei hanno distrutto il 40% delle abitazioni nelle città, causando più di 14.500 vittime civili dal 2017. La guerra ha costretto 4 milioni di persone a lasciare le proprie case in cerca di salvezza. Secondo l’Unicef più di 11 mila bambini sono stati uccisi, mutilati o feriti nello Yemen dal 2015 – una media di quattro al giorno – e quasi 4 mila sono stati arruolati.

Un conflitto è considerato anche quello in Myanmar (Birmania), dopo il colpo di stato del febbraio 2021 messo in atto dalle forze armate birmane per rovesciare il governo di Aung San Suu Kyi, arrestata e condannata a decine di anni di carcere con accuse pretestuose. All’interno del Paese si è formata una attiva resistenza interna contro lo strapotere e la repressione dell’esercito. Sono migliaia i morti, i feriti e le persone arrestate.

Più nota la guerra in Siria che prosegue dal 2011 e ha provocato finora circa 500.000 vittime e più di 13 milioni di persone fuggite dal Paese o sfollati interni. Il 60% della popolazione soffre la fame, con i prezzi dei beni alimentari raddoppiati nell’ultimo anno e 14,6 milioni di persone che hanno bisogno di aiuti umanitari. 

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