Era conosciuto come “l’uomo delle buche” proprio grazie ai profondi buchi che creava, scavando, per catturare gli animali che lo avrebbero poi nutrito. Ma per molti è stato l’uomo più solo al mondo.
Non sappiamo il suo nome, ma sappiamo che era l’ultimo e unico abitante del territorio indigeno di Tanaru, un piccolo pezzo di terra nella giungla amazzonica brasiliana di Rondônia ormai sempre più deforestata dagli occidentali e dai magnati brasiliani che distruggono quelle terre per l’allevamento e la costruzione.
E in questo piccolo pezzo di terra, ancora incontaminato, viveva il nostro uomo. Era rimasto solo, completamente solo, dopo che la sua tribù era stata sterminata dagli allevatori che volevano espandere i propri pascoli. I suoi movimenti erano monitorati dal 1996. Una squadra dell’ente brasiliano per la protezione degli indigeni, la Funai, lo aveva incrociato casualmente una volta nel folto della foresta e senza farsi vedere lo aveva filmato brevemente nel 2018. Lui era impegnato ad abbattere un tronco d’albero e non si era accorto di nulla.
Da allora l’uomo delle buche o anche “Indio do Boraco“, non era stato più avvistato, ma gli agenti del Funai si sono imbattuti nelle sue capanne, costruite con la paglia, e nelle buche profonde che aveva scavato, alcune delle quali avevano punte affilate sul fondo. Intorno alle capanne piantava mais e manioca e frutti come papaia e banane.
Lo hanno trovato morto, apparentemente per cause naturali, il 23 agosto su un’amaca fuori dalla sua capanna di paglia. Non sono stati riscontrati segni di violenza. Doveva avere intorno ai 60 anni. Marcelo dos Santos, studioso e storico delle tribù indigene brasiliane, ritiene che l’uomo sapesse che stava per morire. Le piume che adornavano il suo corpo facevano parte del rito funebre che avrebbe poi compiuto.