Meloni agli Stati Generali della Natalità: analisi di un discorso ultraconservatore

C’è un ultraconservatore vestito di chiaro sul palco dell’Auditorium della Conciliazione di Roma. Alla sua destra, il Papa. Così abbiamo assisto all‘intervento della Premier Meloni alla terza edizione degli Stati Generali della Natalità. Un climax ascendente, verbale e paraverbale. Nella scaletta: lavoro del Governo, visione del Governo, affondo (ideologico).

Da qui bisogna partire, dalla fine, dall’acme, per orientarsi bene nella comprensione della caratura dell’intervento della Presidente. Per questo riportiamo testualmente il finale. Dopo solo qualche slogan come di rito, l’ennesimo ammiccamento al Santo Padre – apparso piuttosto immobile nei circa 15 minuti di intervento della Premier – e il saluto prima di lasciare il leggio alla destra del palco.

Eccolo. “Vogliamo una Nazione nella quale non sia scandaloso dire che, qualsiasi siano le inclinazioni e le libere scelte di ciascuno, siamo tutti nati da un uomo e una donna – alza già la voce la Premier -, nella quale non sia un taboo dire che la maternità non è in vendita, che gli uteri non si affittano, che i figli non sono prodotti da banco, che puoi scegliere sullo scaffale come fossi al supermercato e magari poi restituire se non corrisponde a quello che ti aspettavi. Vogliamo ripartire dal rispetto della dignità, dell’unicità, della sacralità di ogni singolo essere umano, perché ognuno di noi ha un codice genetico unico e irripetibile, che questo piaccia o no, ha del sacro. Vogliamo affrontare questa sfida con gli occhi della realtà, il motore della visione e non vogliamo infilare la camicia di forza dell’ideologia”. 

Forse basterebbe così. Eppure bisogna commentare dalla scelta, ormai più che collaudata della Meloni, di definire l’Italia come “Nazione” più che Paese fino al passaggio ai limiti della violenza, quando tuona: “ i figli non sono prodotti da banco, che puoi scegliere sullo scaffale come fossi al supermercato e magari poi restituire se non corrisponde a quello che ti aspettavi”.

Seguono solo domande e perplessità. Risulta molto difficile analizzare tutto il “prima” visto il  “dopo”.

A questo punto del discorso, ci si chiede, che fine ha fatto tutto il senso di voler costruire e fare e avere una visione per l’Italia al centro dello speech solo pochi minuti prima. Che fine ha fatto il pacifico ottimismo di quella Meloni che all’inizio dell’intervento sguaina la spada della combattente investita dal “coraggio delle idee” che corrisponde al “coraggio delle azioni”?

Come fa ad esempio quel “che piaccia o no” – sempre del finale –  a non risultare terribilmente stridente al pubblico, che pure applaude (compresi i bambini ignari sul palco)  con il desiderio incondizionato di Giorgia Meloni, qualche minuto prima, di vedere un Paese invaso da famiglie in cui ci sono, nell’ordine: più figli, salari all’altezza del lavoro svolto, donne che stanno godendo del pieno diritto di coniugare armonicamente vita e lavoro, giovani che possono sognare una casa perché c’è un mutuo anche per loro accessibile?

Come fa a non vedersi quanto, alla fine, la preparazione del terreno nei primi 10 minuti di intervento sia stata solo un buttare fumo negli occhi della platea con la promessa di uno Stato ricco e prospero, di una “società che sappia guardare oltre il qui e ora”, di un Paese pieno di famiglie possibili per poi affondare un finale ingombrante in cui si fa bene il distinguo su come farlo e chi può farlo?

È mai possibile setacciare l’azione del Governo, l’assistenza senza l’assistenzialismo, le misure per sostenere le famiglie e i figli, per il lavoro delle donne – misure che tutti abbiamo guardato con ottimismo –  e lasciar però correre lo sfondo su cui queste azioni  finiranno per poggiare irrimediabilmente?

Tante domande, poche risposte. Molti molti dubbi. Stamattina qualcuno in più.

 

 

 

 

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