In occasione della presentazione del Rapporto della Fondazione Di Vittorio-Cgil su “Salari e occupazione” si legge che in Italia nel 2019, prima della pandemia, sono circa 5 milioni le persone che avevano un salario effettivo non superiore ai 10 mila euro lordi annui, tutte con “discontinuità lavorativa”.
Oggi risultano circa 3 milioni di precari e 2,7 milioni di part-time involontari, ovvero che lavorano a tempo parziale non per scelta, che si aggiungono a 2,3 milioni di disoccupati ufficiali. Il salario dei part-time italiani, emerge ancora, è percentualmente più basso della remunerazione part-time nella media dell’eurozona di oltre il 10%.
Il rapporto evidenzia come la percentuale di part-time involontario in Italia è la più alta a livello europeo, tanto che nel 2020 ha registrato il 66,2% sul totale degli occupati a tempo parziale, contro il 24,7% dell’Eurozona.
Durante la presentazione del Rapporto è stato anche ribadito che il cosiddetto tasso di disoccupazione “sostanziale” calcolato dalla Fondazione Di Vittorio nel 2020 si rivela pari al 14,5% rispetto al 9,2% del tasso di disoccupazione ufficiale. Questo dato corrisponde a quasi 4 milioni di soggetti, un numero che ai 2,3 milioni di disoccupati aggiunge coloro che sarebbero disponibili a lavorare, ma che non lo cercano perché sono scoraggiati e in difficoltà per la cura di figli o anziani o sono sospesi, in attesa di riprendere l’attività.
Il Rapporto evidenzia anche come nel 2020, a causa della pandemia, il salario medio di un dipendente a tempo pieno in Italia sia diminuito del 5,8% rispetto al 2019, con una perdita in termini assoluti di 1.724 euro nell’anno. Il calo più ampio nell’UE (-1,2% in media) e nell’Eurozona (-1,6%).
Il ricorso alla cassaintegrazione e ai Fondi di solidarietà, precisa il Rapporto, ha più che dimezzato la riduzione del salario medio annuale che così ‘integrato’ si è fermata a 726 euro in meno (-2,4%) e ne consegue la funzione positiva del blocco dei licenziamenti e il ruolo determinante degli ammortizzatori sociali.