Reggio Calabria, 21 indagati e 12 misure cautelari nell’operazione “Geolja”

Oggi, nella provincia di Reggio Calabria ed in quelle di Brescia e Milano, i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria hanno dato esecuzione all’“Ordinanza di applicazione di misure cautelari” emessa dal G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di 12 persone ritenute responsabili, a vario titolo ed in concorso tra loro, di associazione a delinquere di stampo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e illecita concorrenza con minaccia o violenza con l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso.

Ventuno in totale il numero degli indagati, di cui dodici soggetti destinatari dei provvedimenti restrittivi, tutti originari della Provincia di Reggio Calabria.

L’operazione, convenzionalmente denominata «Geolja», prende il nome dal primo nucleo abitativo sorto in epoca medievale attorno al quale successivamente si è esteso l’agglomerato urbano dell’odierno centro di Gioia Tauro. L’attività investigativa ha consentito di colpire il sodalizio criminale facente capo alla storica famiglia mafiosa dei «Piromalli»operante a Gioia Tauro, nonché di coinvolgere nell’inchiesta anche alcuni esponenti della cosca «Pesce» di Rosarno.

L’origine dell’inchiesta è legata ad un danneggiamento seguito da incendio di un panificio nel Comune di Gioia Tauro, avvenuto nel mese di agosto 2018, quando alcuni soggetti rimasti ignoti, dopo aver manomesso l’impianto di videosorveglianza di un bar limitrofo, si sono introdotti nella parte retrostante del panificio appiccando le fiamme a diverse aree dell’esercizio commerciale, inclusi il punto vendita e i laboratori, nonché parte del deposito attiguo al punto vendita stesso. Solo l’intervento dei Vigili del Fuoco di Palmi e del personale della Compagnia Carabinieri di Gioia Tauro ha permesso di evitare ulteriori conseguenze.

A seguito del grave atto incendiario, gli inquirenti hanno scoperto un complesso contesto delinquenziale nel quale i vari esercizi commerciali venivano ciclicamente taglieggiati e controllati, dalle consorterie mafiose locali, nelle loro scelte di dettaglio e nelle strategie imprenditoriali.

Le cosche di ‘ndrangheta infatti, in virtù della forza intimidatrice derivante dalla loro appartenenza al vincolo associativo, mettevano in atto un vero e proprio controllo del territorio e delle attività commerciali locali, mediante riscossione di somme di denaro, beni e altri prodotti a titolo estorsivo. Pertanto, i commercianti dovevano sottostare alle loro regole ed adeguarsi ai prezzi imposti, ai periodi ed alla lunghezza delle ferie, che dovevano essere concordate con le attività commerciali limitrofe. Una vera e propria morsa che attanagliava i vari esercizi commerciali, al punto da costringere i piccoli imprenditori a voler fuggire dalla realtà locale per cercare fortuna altrove, specialmente verso il Nord Italia.

Un contesto dove la criminalità organizzata la faceva da padrona, imponendo una concorrenza illecita mediante violenza e minaccia e  dove le vittime erano costrette ad allinearsi sui prezzi delle singole merci, sugli orari di apertura, sui periodi di chiusura e persino sui periodi di chiusura. Di fatto un ambito dove era praticamente azzerata la libera concorrenza ed il territorio risultava essere suddiviso tra le singole famiglie della ndrangheta, come confermato anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.

L’operazione colpisce alcuni dei soggetti vicini alle più potenti cosche di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, proprio nelle attività illecite essenziali alla conservazione e mantenimento del potere mafioso. Il  controllo del territorio, le capacità informative e gli efficienti approfondimenti investigativi dei Carabinieri sotto il coordinamento e indirizzo dell’Autorità Giudiziaria, attraverso una strategia investigativa oculata, hanno consentito di individuare quelle attività delittuose tipiche della ‘ndrangheta, attraverso le quali le consorterie influenzano le dinamiche economiche dei territori.

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