Hanno destato non poche polemiche e fanno, soprattutto, riflettere i risultati di un recente studio condotto da un centro di ricerca indipendente, l’EU Tax Observatory, finanziato dall’Ecole d’Economie di Parigi e dalla Commissione Europea.
Lo studio aveva come obiettivo quello di individuare la quantità percentuale degli utili realizzati dalle più importanti banche europee, avvantaggiandosi delle condizioni di agevolazioni fiscali assicurate da alcuni Paesi.
Lo studio dell’EU Tax Observatory ha interessato 36 tra i più importanti istituti di credito europei, tra cui gli italiani Monte dei Paschi di Siena e Intesa San Paolo. Contiene una distinzione, che non è soltanto semantica, tra paradisi fiscali e rifugi fiscali. I primi sono quelli ricompresi nelle black list delle principali Istituzioni economico finanziarie Internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale e l’OCSE, prevedendo una totale spregiudicatezza nelle politiche fiscali degli Stati in esse inclusi.
I rifugi fiscali individuano, invece, Paesi che, pur non essendo ricompresi nelle già citate black liste internazionali, si segnalano per una politica fiscale decisamente accomodante. Più precisamente lo studio di questo centro di ricerca individua per i 17 Stati ricompresi in questa definizione due parametri essenziali per l’attribuzione della denominazione: un livello di fiscalità inferiore al 15% e un livello di utili per dipendente decisamente più elevato rispetto alla media europea complessiva.
Sulla base di questi criteri risulta che il campione di banche utilizzato da questo centro di ricerca produce mediamente ogni anno 20 miliardi di utili nei rifugi fiscali, una cifra sicuramente ragguardevole, pari al 14% degli utili complessivamente realizzati.
Va, comunque precisato che, trattandosi di dati medi, vengono messe insieme situazioni di banche che non realizzano neanche un utile di euro in questi Paesi con banche che, invece, vi realizzano percentuali cospicue. Al di là, poi, di altri aspetti metodologici opinabili di questa ricerca, già contestati da molti degli enti creditizi individuati, rimane il fatto che anche nell’Unione Europea continuano a registrarsi squilibri e disarmonie consistenti sul fronte delle politiche fiscali adottate nei singoli Stati. Un fronte, che, nonostante i ripetuti inviti giunti da Bruxelles e finalizzati al raggiungimento di un’armonizzazione fiscale, costituisce un reale intralcio a una più solida costruzione della “Casa Europa”.