“L’Afghanistan è un Paese allo stremo“. Sono dure le parole che si leggono nell’ultimo video finalizzato alla raccolta fondi dell’UNHCR, Agenzia umanitaria per i rifugiati.
La crisi umanitaria dell’Afghanistan è stata al centro di una videoconferenza dal titolo “Emergenza senza confini, solidarietà senza confini” destinata ai donatori dell’agenzia. Al centro del dibattito la situazione in Afghanistan, dopo lo scorso il 15 agosto. Laura Iucci, Direttrice della raccolta fondi di UNHCR, ha moderato l’approfondimento che ha visto rispondere alle tante domande dei donatori Chiara Cardoletti, Rappresentante di UNHCR per Italia, Santa Sede e San Marino, e Alidad Shiri, scrittore e giornalista afghano naturalizzato in Italia.
Partiamo dai dati. Oggi in Afghanistan – come restituito nel corso dell’incontro – ci sono 3,5 milioni di sfollati interni in totale, 600mila nel 2021. L’80% di questi sono donne e bambini, le categorie più a rischio. Le donne afghane dallo scorso 15 agosto sono state annientate: non possono studiare, non possono lavorare, non possono sostentarsi. Si sono viste togliere la propria dignità. “Saranno loro a pagare il prezzo più alto“, ha commentato Shiri, prima di raccontare il ripiegamento di genere a Kabul dove le donne “sono senza nome, ma solo ‘moglie di’, ‘sorella di’, ‘figlia di‘”.
Con la crisi umanitaria, la gravissima crisi economica che sta flagellando il Paese. La perdita del lavoro significa l’aumento della povertà e dell’inflazione, il 40% dell’aumento dei prezzi e la deriva verso il mercato nero degli organi, la vendita delle bambine, la fame. Oggi oltre 23 milioni di afghani soffrono la fame. A questi numeri – non ultimo né meno importante – si aggiunge il dato Covid con un tasso di vaccinazione fermo al 4%.
Cosa si può fare oggi per l’Afghanistan?
Definito questo scenario è lecito chiedersi cosa si può fare. “Non abbiamo avuto soluzione alternativa al dialogo“. Così ha iniziato Chiara Cardoletti per spiegare cosa sta avvenendo oggi a Kabul e nel Paese dove l’Agenzia opera da 40 senza interruzione. Nel dialogo con i Talebani sono stati chiariti tre punti – ha spiegato la Rappresentante – ovvero la protezione degli operatori, l’accesso a tutte le regioni, l’accesso alle donne. Risolte queste necessarie premesse, UNHCR ha devoluto tutti i fondi e tutta l’attenzione alla preparazione per l’inverno. Quella dell’inverno è divenuta una priorità: raggiungere tutte le parti del Paese per fornire i beni di prima necessità prima del calo delle temperature – in Afghanistan fino a meno 20 gradi – è stata la missione, contro il tempo.
La voce dello scrittore e giornalista Alidad Shiri ha reso vivo il tema dei confini. Oggi ci sono le frontiere “sigillate” – ha usato sempre questa parola Chiara Cardoletti – sia del Pakistan che dell’Iran che di tutti i Paesi a Nord dell’Afghanistan. Nonostante questo dal 15 agosto 87mila persone hanno rotto le barriere e iniziato il proprio viaggio. Un viaggio che anche Alidad Shiri conosce e ha fatto rischiando la sua vita, come ha raccontato nel libro “Via dalla pazza guerra“. Il tema dei confini è servito a tutt’e tre i relatori per lanciare un appello affinché gli afghani in fuga vengano accolti come i già due milioni negli anni che sono entrati in Pakistan e Iran.
Contiguamente, anche il tema dei corridoi umanitari. “L’Italia sta facendo un grandissimo sforzo” ha spiegato Cardoletti poco prima di citare il recente protocollo che ha coinvolto diverse associazioni civili e umanitarie e garantirà l’accoglienza di 1.200 persone nei prossimi due anni.
Infine, il futuro. Shiri mette in ordine la cosiddetta “to do list“, ma la più difficile mai stilata. Costringere i talebani al rispetto dei diritti, prima di tutto: delle donne, delle minoranze, dell’informazione. E si riferisce qui agli oltre 153 giornali chiusi definitivamente in questi 105 giorni di inferno afghano in tutto il Paese. Ancora, da fare: non riconoscere il Governo talebano, non intervenire con le armi, mantenere alta l’attenzione sui civili. “Non spegnere i riflettori sull’Afghanistan“, fa eco Laura Iucci.
E poi in coda una domanda arriva, una domanda che pare in 900 incontri in tutta Italia nessuno abbia mai fatto a Shiri. “Cosa sogna un bambino in Afghanistan?”. Qui si raccolgono i cuori in ascolto, la forza del sostegno di chi lo fa e di chi lo inizierà a fare da adesso in poi per dare valore a questa risposta e realizzarla senza magia ma con la solidarietà. “Un bambino in Afghanistan sogna di studiare, di aiutare il proprio popolo, di diventare qualcuno, di vivere in pace”.
Non spegniamo i riflettori su quei sogni. Non abbandoniamo il popolo afghano.