In Spagna cresce il movimento che chiede misure restrittive verso chi fuma all’aperto. Sostengono che il fumo di aerosol prodotto dalla sigaretta, sia tradizionale che elettronica, potrebbe essere un vettore del virus soprattutto nei luoghi dove la distanza tra i clienti è ridotta.
Il Responsabile comunicazione Grupo de Tabaquismo de Semergen, José Luis Díaz-Maroto Muñoz, sostiene che: “chi espira il fumo lo proietta da una distanza maggiore rispetto a quando parla o respira. Inoltre, il fumo veicola l’aerosol che trasmette il virus almeno a 8 metri di distanza. Per questo è importante non fumare all’aperto quando si hanno persone vicine”.
Díaz-Maroto Muñoz spiega: “La distanza di un metro e mezzo tra le sedie di commensali in un ristorante all’aperto è sufficiente se i clienti si limitano a parlare e mangiare. Ma non va bene se si fuma un sigaretta”.
Cosa dicono gli esperti sulla scelta della Spagna
Matteo Bassetti, Direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, dichiara: “E’ evidente che nel fumo ci sono particelle potenzialmente anche di virus, perché quando noi eliminiamo il fumo (di sigarette, di pipa, della e-cig) è chiaro che buttiamo fuori con aerosol anche particelle del virus se siamo positivi. Ma non c’è uno studio che dimostra che chi fuma trasmette di più Covid rispetto a chi ti respira vicino profondamente. Vietare di fumare all’aria aperta, come vogliono fare in Spagna, è eccessivo, stiamo attenti altrimenti qui si va sempre più verso divieti quando dovremmo andare in una altra direzione”.
Aggiunge Bassetti: “Se chi si accende una sigaretta e quindi si toglie la mascherina, ha una persona accanto può contagiarla ma questo può accadere solo dove c’è assembramento di persone e se non si indossa il dispositivo di protezione. Per me il divieto è un paradosso, basta un po’ di buon senso. Chi fuma cercherà di mettersi in un’area lontana da altre persone per evitare di sparargli il fumo addosso”.
L’immunologo Mauro Minelli commenta la notizia dicendo: “Certamente l’abitudine consolidata al fumo può essere considerata elemento in grado di potenziare l’infiammazione correlata alla malattia Covid-19, ma individuare nel fumo passivo occasionale un’aumentata possibilità di rischio di contrarre il Sars-CoV-2 rimane ipotesi al momento priva di alcun fondamento”.
Minelli continua: “Di certo, quel che si può dire è che la pandemia non ha incoraggiato i fumatori a smettere, soprattutto in ragione dell’isolamento a casa che, anzi, ha contribuito a consolidare le abitudini tabagiche aumentando le quantità del fumo attivo e, purtroppo, anche passivo. E, come già più volte segnalato, il fumo di sigaretta porta ad un’aumentata espressione di Ace2, il famoso recettore ‘chiave’ attraverso cui il nuovo coronavirus innesca, per il tramite della propria proteina ‘spike’, il micidiale processo patologico di cui è capace”.