Era arrivato in Pronto Soccorso a 2 mesi con insufficienza d’organo terminale, ma ora potrà andare all’asilo e giocare con i coetanei. Alla Città della Salute di Torino hanno fatto ricorso a una tecnica “mai utilizzata prima”, spiegano dalla struttura, per curare un piccolo paziente già trapiantato di fegato e in una situazione molto critica. Oggi il piccolo sta bene, è stato sottoposto a un “ri-trapianto di rene collegato al pancreas” e nel suo futuro adesso potrà esserci spazio per la quotidianità tipica di un bimbo della sua età, prima impossibile: potrà andare alla scuola materna, giocare con i coetanei.
Il bambino, di origine marocchina, era arrivato al Pronto Soccorso dell’Ospedale Infantile Regina Margherita della Città della Salute di Torino a 2 mesi di vita per vomito persistente e si era scoperta in quell’occasione un’insufficienza renale terminale. Da quel momento non ha più lasciato l’ospedale. I reni erano completamente pietrificati a causa di una rara e grave malattia genetica, la iperossaluria primitiva, che nelle forme più gravi porta a calcificazione renale in poche settimane di vita.
Il trattamento di questa malattia è consistito nella dialisi per 5 ore tutti i giorni per evitare che i depositi massivi di ossalato di calcio distruggessero anche gli occhi, le ossa e tutto il corpo, in attesa di un trapianto combinato di fegato (che è la sede del difetto congenito dell’enzima necessario per depurare l’ossalato dall’organismo) e di rene. A seguire il paziente passo passo in ospedale nel suo percorso dalla nascita Licia Peruzzi, responsabile clinico trapianto renale pediatrico della Nefrologia pediatrica del Regina Margherita, diretta da Bruno Gianoglio.
Il trapianto di fegato-rene è avvenuto a 15 mesi di vita, ma, nonostante un trattamento depurativo intensivo ed il ripristino della funzione enzimatica, il rilascio in circolo di grosse quantità di ossalato di calcio dai depositi tessutali nei quali si era accumulato ha danneggiato irrimediabilmente il rene trapiantato e reso necessario riprendere la dialisi quotidiana, determinando grosse difficoltà di crescita e di alimentazione, che hanno reso impossibile al bambino anche solo andare a giocare al parco o vedere altri bambini.
La situazione clinica si era progressivamente complicata per la trombosi delle vene iliache e della vena cava, che vengono normalmente utilizzate per eseguire un nuovo trapianto di rene, rendendo così impossibile un approccio chirurgico tradizionale. Attraverso un approfondito studio vascolare si era evidenziato che l’unica via possibile sarebbe stata quella di utilizzare la vena della milza nel suo decorso dentro il pancreas in direzione del fegato, strada mai percorsa finora al mondo in un paziente portatore di trapianto epatico.
E’ quindi partito lo studio della fattibilità del trapianto attraverso una biopsia del fegato trapiantato, le misurazioni delle pressioni nelle vene addominali (ad opera della Radiologia interventistica), lo studio dell’uretere residuo e degli anticorpi dovuti alle trasfusioni ripetute che fortunatamente hanno dimostrato che sarebbe stato tecnicamente possibile. Alla fine del percorso il bambino è stato iscritto in lista per trapianto renale pediatrico con criteri di urgenza, poiché l’accesso vascolare per la dialisi, a cui era legata la sua sopravvivenza in vita, era l’ultimo possibile.
Dopo soli 20 giorni, grazie al Coordinamento regionale trapianti, è arrivato l’organo. L’intervento è durato circa 6 ore, in campo un’équipe multidisciplinare formata da Renato Romagnoli (Direttore Centro trapianti di fegato ospedale Molinette) e Francesco Tandoi; Aldo Verri (Direttore Chirurgia vascolare ospedaliera Molinette) e Claudia Melloni; Simona Gerocarni Nappo (Direttore Urologia pediatrica Regina Margherita) e Massimo Catti, coadiuvati dagli anestesisti diretti da Roberto Balagna. Tutto è andato secondo i piani. E il nuovo rene, attaccato alla vena della milza dentro il pancreas in direzione del fegato, ha iniziato a produrre urina già in sala operatoria, senza che vi fosse alcuna sofferenza per il fegato trapiantato 3 anni prima, spiegano dall’ospedale.
Il paziente ha potuto essere immediatamente svegliato. Dopo soli due giorni la funzione renale era già normalizzata. Il piccolo ha potuto riprendere ad alimentarsi e a giocare. E torna al suo mondo, dopo 4 anni di vita vissuta dentro i confini di un ospedale.