Una storia di sofferenza, di forza e di rinascita: un messaggio universale

(di Sara Simonetti) – Una storia di sofferenza, di forza e di rinascita. E’ quella di Omar Bortolacelli, rimasto a 27 anni su una sedie a rotelle dopo un brutto incidente stradale, che la farà da protagonista all’evento del 4 settembre prossimo “Metti in moto l’inclusione” messo in calendario dal Comitato ciCasco in piazza d’Armi, all’interno della ex Caserma Piave, ad Orvieto. Questo esempio di determinazione e tenacia, racconterà la sua nuova vita e darà prova di quanto sia possibile farcela anche dopo una brutta caduta. Di come abbia deciso di non sopravvivere, ma di vivere cominciando a coltivare la passione per la moto e scoprendone di nuove.

Ha abbracciato il mondo dello sport, in tutto e per tutto. Pratica sport paralimpici e si occupa del futuro dei ragazzi, andando nelle scuole a portare la sua esperienza. Ad oggi ha incontrato più di 5.000 ragazzi in giro per l’Italia. All’evento di ciCasco, dedicato al tema dell’inclusione sociale, che coinvolgerà persone diversamente abili insieme a normodotati, dando loro la possibilità di partecipare attivamente ad uno show motoristico e tanto altro, Omar (che sui social è Ironwalk) darà prova anche della sua abilità sulle due ruote.

E’ cosi che inizia la sua storia … “Omar, non sei alla fine della tua vita ma all’inizio della tua nuova esistenza”. Una frase semplice quanto vera pronunciata da un fisioterapista, che gli ha dato la forza di guardarsi allo specchio, di radersi la barba incolta e di scorgere su quel volto, la piega di un sorriso. Il suo sorriso, che riflesso sullo specchio gli è sembrato dargli il benvenuto in una nuova vita dove le altezze fisiche non contano ma quelle del cuore, quelle sì che valgono.

Oggi trentasettenne di origini emiliane, dopo un brutto incidente si è improvvisamente risvegliato nelle sembianze di un altro uomo. Sempre Omar ma non più in piedi, con una sedia a rotelle come compagna di vita. Non è una storia strappalacrime, è la storia di una rinascita, della riscoperta di un nuovo sé dove il mondo visto da un’altezza più bassa, in fin dei conti, non era mai stato forse così bello e pieno di vitalità.
Prima di quella notte, 29 giugno 2011. Una sera come tante. Omar era operatore del 118, si trovava a bordo di un’ambulanza. Un attimo di distrazione, un colpo di sonno improvviso del collega alla guida del mezzo e nulla era più come prima. Omar aveva 27 anni. Si risveglia nel letto di un ospedale.

“Mi avevano dato poche ore di vita”, racconta. “Avevo un quadro clinico fortemente compromesso, trauma cranico, trauma toracico, perforazione del polmone e lesione della spina dorsale. Ma ero giovane, i medici decisero di operarmi. Mi hanno pulito il canale midollare dai frammenti ossei più grandi lasciando quelli più piccoli per non intaccare ulteriormente la spina dorsale”.

Da qui inizia la nuova vita, la nuova storia di Omar. All’inizio il buio, la non accettazione di rimanere per sempre su una sedia a rotelle, la rassegnazione per non essere più in grado di muovere le gambe, la rabbia per aver perso per sempre la propria vita, il proprio amore, i propri sogni. Dopo una settimana in rianimazione, visto che Omar rispondeva bene ai farmaci, ecco il trasferimento all’Istituto di Montecatone a Bologna. “Sai, lì ci mandano le persone che hanno subito una lesione midollare – racconta – ci sono rimasto 6 mesi”.

Sei mesi in cui Omar ha iniziato un nuovo percorso. Riabilitazione fisica ma soprattutto mentale. “Ho lavorato molto su me stesso – dice – sono stati mesi intensi, duri ma ricchi, pieni di momenti bui ma anche di piccoli e grandi successi. All’inizio non è stato facile. Rifiutavo qualsiasi tipo di cura, mi stavo lasciando andare, era subentrato in me un sentimento di rassegnazione”.

Poi nella sua storia accade qualcosa accade. Un operatore, un fisioterapista. Di fronte al rifiuto di Omar ad alzarsi pronuncia poche parole: “Guarda Omar capisco quello che stai vivendo, ricordati che non sei alla fine della tua vita ma all’inizio della tua nuova vita”. Una frase che però lo irrigidisce ancora di più. Omar gli dice di andarsene. Ma lui, che di casi come il suo ne ha visti tanti, insiste: “Non ti preoccupare sarai tu a cercare me”. E così è stato. Omar vede accanto a se una carrozzina, trova la forza di saltarci dentro, raggiunge il bagno, si guarda allo specchio, si rade la barba incolta. “Per la prima volta non mi sono tagliato, non era mai successo”, dice. Ed eccolo poi comparire sul suo volto. “Un sorriso, era come fosse la prima volta. Da questo momento è iniziata la mia rinascita”.Omar ha cominciato a lottare, ha deciso di non sopravvivere. Ha deciso di vivere come, forse, mai aveva fatto prima. Ha cominciato a coltivare la passione per la moto, ne ha scoperte di nuove. Ha abbracciato il mondo dello sport, in tutto e per tutto. “Lo sport mi ha salvato, lo sport è vita”, lo scandisce a chiare lettere.

Kart, equitazione, handbike, immersioni subacquee. Ha aperto la StraBologna nel 2019 con l’esoscheletro. Omar non si è arreso, è andato avanti, ha riconquistato la propria autonomia. “Sono 8 anni che vivo da solo – continua a raccontare – molta gente non si spiega come possa fare una vita così intensa e frenetica. Ma la carrozzina mi ha fatto scoprire cose di me stesso che nemmeno io sapevo di avere. Mi ha regalato nuovi occhi, ora ho imparato a guardare le cose, a non vederle e basta”.E gli occhi di Omar sono gli stessi che ogni giorno gli danno anche la forza di combattere la diffidenza e l’indifferenza della gente che, purtroppo, ancora oggi esiste. “L’ignoranza della gente ho imparato a sconfiggerla con il sorriso, cerco di fargli capire che il mio mondo è uguale al loro. Anzi, forse il mio è ancora meglio”. “La vita, sì, mi ha tolto qualcosa, mi ha tolto le gambe ma, allo stesso tempo mi ha dato nuovi occhi per guardare, nuova forza per affrontare il mondo, nuovi scopi per cui continuare ad esistere”, lo dice con forza.
Oggi Omar è un ragazzo felice e autonomo, vive a Sant’Agata Bolognese e lavora nella centrale del 118 di Bologna. “Adesso prendo le chiamate della gente che ha bisogno delle ambulanze – spiega – Mi piace andare a lavorare, lo faccio come una volta: prima ci andavo col sorriso, ora ancora di più”.

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