Vaccinare i giornalisti? No, però… Mentana, Verna e gli altri

Macerata ormai la polemica innestata dal post Facebook di Enrico Mentana in merito al paventarsi dell’inclusione dei giornalisti nelle file di chi potrebbe fare il vaccino anti Covid in via prioritaria. Nell’arco di due giorni, a suon di post, infatti, esponenti di categoria si schierano per il sì, per il no e per il ma.

Intanto il Direttore del Tg La7 e il Presidente Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Verna, intraprendono un duello a suon di social e agenzie. Il “mi vergogno” di Mentana – va detto – arriva in risposta a parole molto caute di Verna di qualche settimana fa, quando aveva avanzato un’ipotesi sulle priorità nelle vaccinazioni, ritenendo che non si potesse parlare della categoria,  se non dopo aver concluso la fase vaccinale riguardante i medici e la tutela del sistema scolastico“. Ma Mentana ha la schiena dritta e condivide il suo sdegno proprio in merito all’opinione di Verna.

La risposta del Presidente Verna

Al “mi vergogno” di Mentana, risponde a tono Verna che  accusa il Direttore del Tg di La7 di parlare dall’alto di una “casta che non viene spedita in assembramenti se non in ospedali“.

Mentana non tarda a replicare al Presdiente Nazionale dell’Ordine, utilizzando sempre il proprio account Facebook: “Annebbiato forse dalla paura, mi deve aver scambiato per un’altra figura professionale. Sono a capo di una redazione impegnata a ogni ora di ogni giorno. Ho quotidianamente la responsabilità del lavoro in esterna, sul campo, di decine di giornalisti e delle troupe con cui svolgono il loro servizio. Posso quindi con piena coscienza e cognizione di causa ribadire che mi vergognerei di ogni giornalista che pensasse di passare avanti agli ultrasettantenni, alle persone fragili, e a tante categorie più esposte, dagli operatori della nettezza urbana a quelli dei supermercati, che però non hanno il megafono di ordini professionali”. E chiude il post con una specifica: “Aggiungo qui, a scanso di equivoci e malizie, che mi vergognerei ancor di più di giornalisti che cercassero di evitare la vaccinazione“.

Mentana oggi

La posizione di Mentana è chiara: vaccino sì, ma ognuno aspetti il suo turno. E lo rilancia oggi ancora su Facebook in un post “dedicato ai no vax e ai salta file“, come si legge in maiuscolo in testa. Riprende le parole del Presidente Mattarella pronunciate nel discorso di fine anno: “Vaccinarsi è una scelta di responsabilità, un dovere. Tanto più per chi opera a contatto con i malati e le persone più fragili. Di fronte a una malattia così fortemente contagiosa, che provoca tante morti, è necessario tutelare la propria salute ed è doveroso proteggere quella degli altri, familiari, amici, colleghi. Io mi vaccinerò appena possibile, dopo le categorie che, essendo a rischio maggiore, debbono avere la precedenza“.

Il fronte del “no, però…”

Intanto, si alzano due voci sul fronte del “no, però…”. Da una parte la giornalista de Il Fatto Quotidiano Selvaggia Lucarelli, che ha dichiarato: “Non chiedo il vaccino, però questa cosa che i giornalisti siano nella lista delle categorie non utili a detta degli stessi giornalisti mi dispiace. In questo anno di paura, siamo stati noi a raccontare alla gente cosa succedeva, a denunciare, siamo stati non utili. Necessari“. Dall’altra parte la redattrice di Focus, Margherita Fronte: È una richiesta inappropriata, tranne che per chi fa cronaca dai Reparti di Intensiva. Le badanti dovrebbero venire prima di noi. Anche chi guida i mezzi pubblici, i cassieri, i tassisti e tanti altri. Il vaccino non è la medaglietta per il lavoro svolto. Serve ad altro“.

Ma chi sono questi giornalisti “prioritari”?

L’opinione di Mentana ha motivo di esistere, di essere difesa e anche scagliata a protezione di chi, in milioni di italiani e italiane, attendono gli siano aperte le vie preferenziali. E forse giustificabile è anche la forza della polemica perché è vero che i “saltafila” anche in questo frangente – povera Italia – si sono rivelati.

Tuttavia, non bisogna cadere in banali generalizzazioni e come si fa per le chiusure, troppo spesso, non incorrere nell’errore di ragionare per sterili categorie. Il Covid, fra le vittime e i traumi a vario livello, ha dicotomizzato i giornalisti. Da una parte molti giornalisti si sono visti costretti a “ripiegare” sul lavoro di desk (chiariamo, fondamentale per la capillare diffusione delle notizie in questo ultimo anno), molti altri hanno vissuto il dovere di scendere in campo, in prima linea, per raccontare la pandemia dagli ospedali da campo, dai reparti ospedalieri italiani, quando ancora era possibile. Hanno messo i dispositivi di sicurezza, hanno allungato le aste dei microfoni e fatto il proprio lavoro: raccontare cosa stava accadendo. E lo hanno fatto fino a mettere a repentaglio la propria salute e quella, poi, dei propri contigui.

Giornalisti…non prioritari, però…

Ovvio che hanno priorità tutte le categoria mediche (ci sono farmacisti che ancora attendono la chiamata e contraggono Covid per continuare a lavorare, per dirne una) e paramediche. Altrettanto ovvio che viene prima chi sta affrontando malattie e terapie importanti, chi lavora a stretto contatto con categorie ad alto rischio, chi – a fronte di tutta la dietrologia – sa che il proprio stato di salute lo condurrebbe con altissima probabilità in quell’inferno che sono le Terapie Intensive. Dunque è tutto ovvio, ma è lecito un “ma…”

Lascia un vuoto la rapidità con cui si viene depennati o la superficialità con cui non si viene mai citati. Un sentimento di rammarico, come l’ultimo scelto nel gioco a squadre, da piccoli. E questo vuoto assorda – non per populismo, ma per buona memoria – se pensiamo al rischio che hanno affrontato decine e decine di giornalisti e giornaliste, video e foto reporter in contesti ad elevata criticità, sociale, politica e militare e dove non sono pochi coloro che vi hanno trovato anche la morte. Pensiamo all’ebola o alle altre epidemie, prima, durante e dopo le guerre in Somalia, Eritrea, Kenya, Yemen, Bosnia, Kosovo, Iraq, Afghanistan, Cipro Nord, per citare solo alcuni degli scenari di grave emergenza. Bene, è giusto non chiedere  la precedenza, ma che mai si venga trattati, in fretta e in massa, come quelli che non hanno rischiato anche la vita per onorare il proprio mestiere.

 

 

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