30 anni dal genocidio nel Ruanda: giustizia è fatta?

Oggi ricorre il trentesimo anniversario del genocidio contro i tutsi in Ruanda. Una tragedia nella quale persero la vita circa 800.000 persone, tra cui hutu e altri gruppi che si opposero al genocidio e al Governo estremista che lo orchestrò. Amnesty International mette la ricorrenza al centro delle notizie di oggi. Obiettivo, sollecitare urgentemente la comunità internazionale a rinnovare il proprio impegno per assicurare giustizia e responsabilità a favore delle vittime e dei sopravvissuti.


Molti dei responsabili sono stati processati davanti ai tribunali nazionali e comunitari in Ruanda, nonché dal Tribunale penale internazionale per il Ruanda e da tribunali in Europa e Nord America sulla base del principio della giurisdizione universale. Recenti sviluppi, però, sottolineano l’urgenza di perseguire la giustizia con determinazione.

Molti dei ricercati per il genocidio sono deceduti

“I ritardi nella giustizia equivalgono a negare la stessa. La conferma della morte di molti tra i sospettati più ricercati per il genocidio, avvenuta prima che potessero andare incontro alla giustizia, nonché la sospensione a tempo indeterminato del processo di un altro imputato a causa di una demenza senile, evidenziano quanto sia importante perseverare per garantire giustizia ai sopravvissuti e ai familiari delle vittime in Ruanda” ha dichiarato Tigere Chagutah, Direttore di Amnesty International per l’Africa orientale e meridionale.

Nel 2020 sono stati ritrovati nella Repubblica del Congo i resti di Augustin Bizimana, Ministro della Difesa durante il genocidio. Il Meccanismo internazionale residuale dei tribunali penali ha inoltre confermato che Protais Mpiranya, comandante della Guardia presidenziale, è deceduto in Zimbabwe nel 2006. Gli era stata attribuita la responsabilità degli omicidi dei leader moderati di alto livello, tra cui la Premier Agathe Uwilingiyimana, il Presidente della Corte costituzionale, il Ministro dell’Agricoltura e il Ministro dell’Informazione, così come di dieci caschi blu belgi delle Nazioni Unite.

È stato inoltre confermato che Phénéas Munyarugarama, comandante del campo militare di Gako e il più alto ufficiale militare nella regione di Bugesera durante il genocidio, è deceduto nella Repubblica Democratica del Congo nel 2002. Mentre Aloys Ndimbati, Sindaco di Gisovu, è morto in Ruanda nel 1997.

Nel maggio 2023, un altro sospettato di genocidio e imputato dal Tribunale penale internazionale per il Ruanda, Fulgence Kayishema, rimasto latitante per decenni, è stato finalmente arrestato in Sudafrica. Si prevedeva che sarebbe stato trasferito o presso il Meccanismo internazionale residuale dei tribunali penali in Tanzania o direttamente in Ruanda per andare incontro al processo.Oggi si trova in un carcere in Sudafrica a causa di accuse legate all’immigrazione.

Nell’agosto 2023, il processo di Félicien Kabuga, 90 anni, presunto principale finanziatore del genocidio e catturato dopo 26 anni di latitanza, è stato sospeso a tempo indeterminato a causa di una malattia legata all’età. La decisione è stata presa dai giudici d’appello del Meccanismo internazionale residuale dei tribunali penali in seguito a una sentenza del giugno 2023 che ha dichiarato Kabuga non idoneo a comparire in tribunale a causa di una grave demenza senile. Era accusato di finanziare e fornire supporto logistico alle milizie Interahamwe, nonché di promuovere la trasmissione di discorsi di odio genocida da parte della Radio Television Libre des Milles Collines. I sopravvissuti hanno espresso rabbia e delusione dopo la decisione della corte.

“Per onorare la memoria delle vittime del genocidio e per garantire giustizia ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime, esortiamo tutti gli stati a riaffermare il loro impegno nel perseguire instancabilmente e tempestivamente la giustizia, anche attraverso il perseguimento dei presunti responsabili attraverso la giurisdizione universale, ove opportuno”, ha concluso Tigere Chagutah.

(foto Pixabay)

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