45 anni fa il terremoto che distrusse il Friuli

Il 6 maggio 1976 alle 21.00, in Friuli  la terra tremò per 59 interminabili secondi.

Poco meno di un minuto che segnò per sempre questa terra all’estremo nord del Paese, costretta a piangere 989 morti, 3.000 feriti (molti morirono per i traumi nei mesi successivi). Devastazione e disperazione si diffusero rapidamente in tutta la zona a nord di Udine, la più colpita. A Majano, Buja, Gemona, Venzone, Osoppo, Magnano, Artegna, Colloredo, Tarcento, Forgaria e lungo la fascia pedemontana c’è solo morte e distruzione. Case crollate, edifici piagati dalla forza implacabile del terremoto pari a 6,5 della scala Richter.

7 maggio, il “day after”

Quella notte di 45 anni fa, complice il buio e l’interruzione delle comunicazioni, la portata della tragedia non è nemmeno lontanamente immaginabile. E’ all’alba di venerdì 7 maggio che le dimensioni della tragedia prendono corpo. Le prime luci del giorno svelano un paesaggio spettrale, irriconoscibile, fatto di macerie. Comunicare era praticamente impossibile nelle zone più colpite. E le scosse non si arrestano, la forza del sisma colpisce ancora, implacabile, portando terrore e paura tra gli sfollati, i sopravvissuti. Il giorno dopo le immagini di un Friuli ridotto a macerie fanno il giro del mondo e scatta così la macchina della solidarietà.

I soccorsi

Si formarono squadre coordinate dai Sindaci, Vigili del fuoco e Alpini della Julia.

Dall’estero i migranti friulani tornano nella loro terra per aiutare i sopravvissuti a pulire e ricostruire. L’Italia intera si mobilita per portare soccorso ai terremotati e agli sfollati. Indispensabile, per ricominciare, l’aiuto delle Istituzioni, dell’Esercito italiano, ma anche di quello statunitense, canadese, francese, austriaco e tedesco che operarono nelle zone più colpite. A coordinare Giuseppe Zamberletti, Commissario straordinario per i Soccorsi. Una ricostruzione che ha gettato le basi per la nascita della prima Protezione Civile.

La ricostruzione in Friuli

La ricostruzione segnata dal motto :“prima le fabbriche, poi le case, poi le chiese”. Per chi era rimasto senza casa ma era in grado di lavorare furono recuperate migliaia di roulotte in giro per l’Italia, per garantire un minimo il lavoro nelle aziende che non erano state colpite.

La ricostruzione, con l’altra regola del “dov’era e com’era

Infatti tutto è ricomposto nella sua originalità arrivando a numerare le pietre per ricollocarle al posto giusto. Una ricostruzione che, fin dal principio, non ha voluto snaturare nulla di ciò che c’era prima del sisma. Nessuna città nuova: il Friuli è rimasto il Friuli. È rinato dalle sue polveri, più forte.

 

 

 

 

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