Faceva propaganda jihadista sul web: in manette un egiziano 37enne. È accusato di partecipare a un’associazione con finalità di terrorismo internazionale, lo Stato Islamico, e addestramento con finalità di terrorismo. Nell’ambito della cosiddetta “jihad della penna” svolgeva la “mansione di combattente virtuale per conto dello Stato Islamico”.
Istruzioni dallo Stato islamico: non essere individuati dalla Polizia, diffondere il messaggio
Dalle indagini è emerso che l’indagato fosse “parte integrante del Daesh”. È emerso, fanno sapere i Carabinieri del Ros, “il ruolo centrale ricoperto dal 37enne nel mettere in pratica le istruzioni che lo Stato Islamico impartisce ai suoi militanti”. Parliamo in particolare di evitare di essere individuati dalla Polizia dell’Occidente e contestualmente diffondere i messaggio violenti propugnati dall’organizzazione. L’indagato, in particolare, “ha più volte condiviso con altri utenti documenti di vero e proprio addestramento militare, attraverso i quali ha impartito istruzioni sul maneggio delle armi da fuoco, sulla fabbricazione di ordigni esplosivi improvvisati e sulle procedure operative e tattiche per la messa in atto di attacchi terroristici”.
Lo Stato islamico, spiega il Ros, “con la disseminazione di prodotti mediatici di natura apologetica, di video ad alta valenza evocativa e di aggiornamenti sui ‘successi’ delle campagne di insorgenza nei territori di conflitto, può continuare a sopravvivere, cooptando sotto la propria bandiera ideologica il maggior numero di aderenti, i quali sono chiamati a colpire nei territori di origine, anche in Occidente”. Questa strategia si rivolge sia a “miscredenti” ovvero coloro che non professano la religione musulmana che agli “apostati” coloro che non professano il salafismo-jihadista.
Secondo le indagini l’indagato, “partecipando a un circuito virtuale composto da meri simpatizzanti, membri effettivi e anche veri e propri combattenti del Daesh, denominato ‘Casa Mediatica Roma‘” prendeva parte alle cosiddette “’campagne di aggressione mediatica’, concepite da un nucleo di dirigenti di Stato Islamico, incaricato di individuare gli obiettivi delle offensive virtuali e i mezzi per attuarle”.
Secondo gli investigatori “in questo modo, le pagine social media maggiormente esposte al pubblico venivano inondate di messaggi violenti e di propaganda jihadista, con la finalità da un lato di esaltare i sostenitori del jihad e dall’altro di attrarre la platea di coloro che per la prima volta si affacciano a questa errata interpretazione dell’lslam”.