Braccianti sfruttati, costretti a lavorare anche 14 ore al giorno

Accertate e documentate le condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti numerosi braccianti africani provenienti dagli insediamenti di Borgo Mezzanone e del Ghetto di Rignano, assunti da una locale cooperativa “schermo” operante sotto una cornice di apparente legalità nella gestione dei rapporti di lavoro.

Le indagini hanno preso spunto dalla denuncia sporta presso gli uffici di Polizia del capoluogo Dauno da due cittadini della Guinea Bissau che lamentavano le condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti per la raccolta di prodotti agricoli nelle campagne del Foggiano.

Dalle condizioni di sfruttamento che hanno fatto emergere le due vittime, i Carabinieri riuscivano a disvelare il sistema apparentemente legale, volto ad eludere i controlli, che avevano ideato gli odierni indagati, tutti consapevoli delle dinamiche illegali sottese.

In particolare due agricoltori foggiani dopo aver creato la società fittizia tramite un cittadino senegalese dimorante nella baraccopoli di Borgo Mezzanone reclutava o faceva reclutare centinaia di connazionali anche nel Ghetto di Rignano – per condurli a raccogliere pomodori presso i propri terreni i terreni di altre aziende committenti – i cui titolari sono oggetto dell’odierna misura – a bordo di furgoni e autovetture vetuste.

Servizi di osservazione e pedinamento sono bastati ai Carabinieri per comprendere le dinamiche: i braccianti africani venivano prelevati dalla baraccopoli di Borgo Mezzanone, Ghetto di Rignano e da lì, a bordo di precari automezzi, venivano trasportati nelle campagne di Manfredonia, Stornara, Foggia Borgo Incoronata, San Severo, Ordona (FG) ed il comune molisano di Campomarino per essere impiegati a ritmi estenuanti, senza i previsti dispositivi di protezione individuale e soggetti a controlli serrati da parte dei caporali.

La chiara fotografia della situazione rappresentata alla Procura della Repubblica di Foggia, che sul fenomeno del Caporalato aveva già fornito direttive precise nel recente passato, ha permesso di avviare l’indagine denominata “SCHERMO”, condotta da marzo 2020 a Febbraio 2021, attraverso numerosissimi servizi di osservazione, controllo e pedinamento, anche con il fondamentale ausilio delle attività tecniche d’intercettazione telefonica, nonché dalle escussioni degli lavoratori e degli accessi ispettivi presso le aziende con successiva analisi della documentazione grazie alle quali è stato possibile cristallizzare il sistema di intermediazione e sfruttamento creato funzionale solo a garantire profitto per gli ideatori a svantaggio dei cittadini africani sfruttati.

Si partiva dalla creazione della società con fittizio amministratore – irreperibile dal 2011, passando dalla selezione e reclutamento della manodopera messa in piedi dalla “Cooperativa Schermo” resa possibile dal “caporale” dimorante nella baraccopoli di Borgo Mezzanone fino alla somministrazione abusiva dei lavoratori nei terreni di proprietà o comunque nella disponibilità degli imprenditori che ne traevano i profitti dall’utilizzo dei diseredati braccianti.

Venivano attuate delle strategie volte ad eludere i controlli dell’ispettorato e degli altri organi ispettivi, tramite la stipula di contratti di compravendita di prodotti agricoli e fatturazioni per operazioni inesistenti, in modo da non far apparire i reali datori di lavoro come effettivi titolari dei rapporti con i lavoratori reclutati, favorendo così i datori di lavoro ad eludere le leggi in materia. Invero, la “Cooperativa Schermo” forniva a titolo oneroso un “pacchetto di raccolta di pomodori in condizioni di sfruttamento”, fungendo come un’ agenzia interinale senza averne i requisiti ministeriali, favorendo così gli imprenditori ad eludere la legge sul collocamento (assunzioni del personale, l’elaborazione del Libro Unico del Lavoro e delle buste paga, la sottoscrizione di contratti di lavoro e gli adempimenti in materia di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro, Documento Valutazione dei Rischi, Visite mediche, formazione informazione e Dispositivi di Protezione individuale) riducendo i costi ai reali datori di lavoro, creando una lesione ai diritti dei lavoratori reclutati massimizzando così i profitti.

L’analisi dei rapporti di lavoro delle maestranze reclutate nei Ghetti della Capitanata portava alla luce un’evidente condizione di sfruttamento determinata da sotto-salario, gravi irregolarità contributive, lavoro nero, violazione dei riposi e delle ferie, tra l’altro, non venivano neanche sottoposti alla prevista visita medica, in alcuni casi rimanevano senza mangiare per molte ore e gli veniva fornita da bere “…acqua di pozzo…”. Sorvegliati e minacciati alla decurtazione delle già misere retribuzioni a cottimo.

Agli indagati, 7 in totale, di cui 3 in carcere  e 4 agli arresti domiciliari, viene contestato l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro.

Tutti i soggetti, tutti foggiani di 70 e 45 anni dapprima titolari di cariche in una azienda della BAT  effettuavano con l’ausilio del caporale D.A. senegalese di 32 anni il reclutamento di centinaia di lavoratori dalle baraccopoli di Borgo Mezzanone e del Ghetto di Rignano Garganico per poi impiegarli nella raccolta dei pomodori in Provincia di Foggia e nella limitrofa di Campobasso per conto di altre aziende agricole.

Gli indagati hanno reclutato e impiegato a vario titolo manodopera a basso costo e massimizzare i profitti, per destinarla alla raccolta dei pomodori, in violazione: dei contratti collettivi nazionali, pagando i braccianti circa 5 euro all’ora oppure € 4,50 a cassone di pomodori e decurtando 50 centesimi ogni volta che il caporale interveniva perché il prodotto non risultava confacente/sporco o non veniva rispettata la tempistica imposta; della normativa di settore relativa all’orario di lavoro e ai periodi di riposo, della materia di sicurezza e igiene sul luogo di lavoro, in quanto impiegavano i suddetti lavoratori senza fornire loro dispositivi per la prevenzione degli infortuni (guanti, scarpe, abbigliamento ecc.), necessari allo svolgimento delle mansioni cui venivano adibiti e, anzi, li costringevano, ove necessari, ad acquistarli a loro spese o gli venivano decurtati dalla paga mensile.

 

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