La decisione di falsificare il numero di copie digitali “ha una rilevanza ai fini della rendicontazione (del bilancio 2015, ndr) – spiega il PM Gaetano Ruta – e soprattutto della rappresentazione esterna”. Parliamo cioè del valore percepito nei confronti del quotidiano di cui Napoletano “era amministratore di fatto o comunque contitolare di un potere tanto da riuscire a ottenere una buonuscita molto significativa qualora fosse stato licenziato, a dimostrazione di una relazione in cui poteva chiedere e ottenere”.
La tesi è respinta dalla difesa: gli avvocati Guido Alleva e Edda Gandossi avevano chiesto di assolvere “con formula piena” il proprio assistito che “non ha mai travalicato” la sua funzione e contro il quale non ci sono elementi “documentali o testimoniali“. L’obiettivo di Napoletano, per i difensori, “era espandere la base dei lettori, ossia che il proprio quotidiano fosse letto“.
Napoletano si è detto “estraneo” alla vicenda relativa alla falsificazione dei dati
“Se mi si accusa di aver dedicato 14-16 ore al giorno di lavoro sempre, in modo onesto e trasparente per il Sole 24 Ore e per le attività editoriali di questo gruppo multimediale con l’affetto che si riserva a un figlio, se mi si accusa di essermi dedicato con il massimo dell’impegno a questo giornale che mi è stato consegnato sull’orlo del baratro e averlo fatto crescere mentre il mercato andava giù a dirotto, se mi accusa di aver combattuto per evitare i licenziamenti di giornalisti, ebbene sì sono colpevole di aver combattuto come un leone, di essermi ridotto lo stipendio, di aver creato nuovi prodotti e un nuovo sistema editoriale sacrificando, e me ne sono pentito, la mia famiglia“, ha detto Napoletano in una dichiarazione spontanea in aula. “Non entravo, non sono mai entrato, né sarei mai potuto entrare su contenuti numerici e contabili” aveva concluso.