Prima del giuramento, il neo eletto Presidente della Repubblica Sergio Mattarella fa un lungo passaggio nella cosiddetta “Sala dei Ministri” dove incontra le altre quattro alte cariche dello Stato. Con Mattarella – come mostrano le immagini di seguito – ci sono in anticamera i Presidenti del Senato e della Camera, Casellati e Fico, il Presidente del Consiglio Draghi e il Presidente della Corte Costituzionale Amato.
“Sono stati giorni travagliati per tutti. Anche per me”. Aggiunge poco altro per parlare del passato, dell’elezioni, di quello che è accaduto e non doveva accadere. Sergio Mattarella parla al Parlamento riunito in seduta comune per il suo giuramento, ma va oltre: parla all’Italia, “un grande Paese” afferma, sì, ma negli occhi e nelle parole sa di dover aggiungere un Paese in emergenza. Per questo corre veloce e in 40 minuti con estrema lucidità tocca tutti i temi vivi oggi per la Repubblica, per la politica e per i cittadini.
Più che al Parlamento, parla al Paese. Il Paese in emergenza
Passa dal grande universo mondo della sfida internazionale che si sta profilando nell’Est dell’Europa all’Europa stessa come istituzione e casa della democrazia internazionale. “Non possiamo accettare che si alzi il vento dello scontro”, dice e inneggia alla pace, alla cooperazione, alla giustizia e al dialogo come cuore saldo della politica estera italiana. Fa appello alle risorse del Paese perché sappiano annientare “le esibizioni di forza”, chiarisce.
Poi è il turno dell’Assemblea che gli siede davanti. E pronuncia la parola “democrazia”, facendo espressa richiesta di un “costante inveramento della democrazia”. Ai politici davanti a sé chiede discussione, partecipazione, ma anche “risposte tempestive” non senza il dovuto approfondimento, aggiunge. Quindi un lavoro che sia capace di mettere insieme valori e risposte, punti di vista differenti e operatività. E se fin qui le parole del Capo dello Stato risuonano come un rimprovero tutto cambia quando chiede che il Parlamento “sia posto sempre nelle condizioni di poter esaminare e valutare con tempi adeguati”. Alle 15.41 è standing ovation di tutta l’Assemblea. La successiva sarà quando Mattarella saluta Papa Francesco.
Discussione, risposte tempestive, partiti coinvolgenti
Dalla massa al singolo. Chiama all’attenzione le forze politiche augurando all’Italia “Partiti coinvolgenti”. “Senza partiti coinvolgenti – spiega infatti Mattarella – il cittadino si scopre più solo e più indifeso”. E invita tutte le forze politiche sedute da entrambe le parti dell’aula ad avviare una nuova “stagione di partecipazione”. Dal Parlamento salta a Magistratura e Avvocatura. Qui, in nome dell’“efficienza e credibilità come richiesto a buon titolo dai cittadini” dice, pronuncia la parola fatidica: riforme. Un sì alla riforma del sistema giudiziario “superando logiche di appartenenza”, sottolinea. E subito dopo pronuncia ancora la parola “cittadini” perché tutto in questo discorso è teso verso l’esterno del Palazzo, ogni parola. Fiducia e assenza di “timore per decisioni imprevedibili” sono quello che secondo Mattarella i cittadini devono provare guardando alla Magistratura e all’Avvocatura.
Standing ovation per operatori sanitari, Forze dell’Ordine e Forze armate
E poi dentro l’Italia. Salutando e ringraziando i medici, gli operatori della Sanità, i volontari – uno dei primi lunghi applausi giunge dall’Assemblea -, le Forze Armate e quelle dell’Ordine. Quindi gli italiani all’estero e gli stranieri in Italia. La scuola, l’occupazione, le donne e la marginalità femminile come segnale di “ritardo civile, culturale, umano” dice Mattarella. Ancora, in elenco, il lavoro, le disuguaglianze, la cultura. “La cultura – dichiara fermo il Capo dello Stato – non è superficiale, è un elemento costitutivo dell’identità italiana. Facciamo in modo che questo patrimonio divenga risorsa”. E, a seguire, chiama in causa il mondo dell’Università, dell’editoria, del cinema, del teatro, della musica come orizzonti possibili per i giovani in cerca di esprimere il proprio talento. Qui – immancabile – il ricordo di Monica Vitti e la standing ovation dell’Assemblea.
Parola d’ordine: “dignità”
Il cuore del discorso di Mattarella, a fronte della lista infinità di argomenti, è in una parola con cui il neo Capo dello Stato nel suo giuramento si dirige alla chiusura. La parola è “dignità”. E la declina e la tesse Mattarella a partire dalle morti sul lavoro con il ricordo accorato – accompagnato dal lungo applauso dell’Aula – di Lorenzo Parelli, il 18enne recentemente morto nell’ultimo giorno di stage all’interno del programma di alternanza scuola lavoro. L’imperativo di Mattarella è “azzerare le morti sul lavoro” perché “le morti sul lavoro feriscono la società”.
Dignità è – nel giuramento del Presidente – opporsi al razzismo e all’antisemitismo, impedire la violenza sulle donne attraverso “cultura, educazione ed esempio” dice. Dignità è assicurare il “diritto alla vita” ai migranti, il diritto allo studio, il rispetto per gli anziani, il contrasto alla povertà e alla precarietà. Dignità è “non dover essere costrette a scegliere fra lavoro e maternità” tuona il Capo dello Stato. La dignità è da ricostruire nelle carceri dove si vive in sovraffollamento e si deve lavorare nel verso del rinserimento. Dignità avviene in “un Paese non distratto nei confronti dei disabili”. Un Paese degno – sfoglia il suo discorso Mattarella – è un Paese “libero dalle mafie e dal ricatto della criminalità”. E quando i Parlamentari sono seduti di nuovo dopo il lungo applauso puntualizza “libero dalla complicità di chi fa finta di non vedere”. Un Paese dove l’informazione è libera ed indipendente. Poco prima di smettere non manca il ricordo di David Sassoli, “uomo mite e coraggioso, sempre pronto al dialogo”. Di Sassoli Mattarella ricorda alcune semplici parole: “La speranza siamo noi” dice e poi conclude “Viva la Repubblica, viva l’Italia”. Quindi altri 4 minuti ininterrotti di applausi e la seduta è tolta: il Presidente ha giurato.
Asciutto e impeccabile come sempre, ma molto netto. Pochi fronzoli e lucidità al massimo quasi a voler chiarire che il suo lavoro continua da subito, come un padre che sa perdonare ma non legittima la mancanza del figlio che si è dimostrato impreparato e immaturo. Perché tutti gli appelli che Sergio Mattarella lancia in 40 minuti di giuramento sono rivolti in primis, come da cerimonia, a chi governa il Paese e poi – dopo, ma non meno importante – a tutti coloro che fuori dal Palazzo restano i veri protagonisti della Repubblica italiana: i cittadini. Il Paese – sia chiaro – ha bisogno del lavoro di tutti. Ora più che mai.
(foto di Adnkronos)