“Un vero campo di concentramento a 100 chilometri da Mosca“. Sono le parole di Alexey Navalny che giungono dalla colonia penale di Vladimir, 200 chilometri a est da Mosca, dove l’attivista russo sta scontando la condanna di due anni e mezzo. Navalny ha scritto ieri sul suo profilo ufficiale Instagram (navalny) a corredo di una foto in cui appare col cranio rasato. Non si tratta di una denuncia per maltrattamenti, ma di quella di una sistema carcerario alla “1984 di Orwell, l’educazione attraverso la disumanizzazione“, come si legge.
Un sistema carcerario alla “1984” di Orwell
“La routine, il quotidiano, l’osservanza letterale di regole infinite. Telecamere ovunque, tutti sono monitorati e alla minima infrazione viene fatta una denuncia“. Un scenario in bianco e nero in cui – riporta, ironico, Navalny – ci sono anche “momenti colorati“. E spiega: “Ho una targhetta e una foto sul petto, ed è sottolineata da una bella striscia rossa. Dopo tutto, sono incline alla fuga, ricordate? Di notte mi sveglio ogni ora per trovare un uomo accanto al mio letto. ‘Sono le 2 e 30, il detenuto Navalny è al suo posto’, dice. Dopo mi addormento di nuovo con il pensiero che ci sono delle persone che si ricordano di me e non mi perderanno mai. È bello, vero?“.
La pubblicazione social chiude con un saluto di Navalny: “abbracci a tutti“.
La situazione dell’attivista russo resta invariata dopo il “no” della Russia alla richiesta di rilancio della Corte europea dei diritti umani di circa un mese fa.