L’Ungheria di Orbàn è pronta a lasciare l’Unione Europea. Le motivazioni arrivano dal Ministro delle Finanze Mihaly Varga, alla TV ungherese Atv.
Varga ha dichiarato “la questione potrebbe assumere una nuova prospettiva nel momento in cui prevediamo di diventare contributori netti dell’Unione“, stimato entro il 2030, rientrando così tra i Paesi che versano al bilancio UE più soldi di quanti ne ricevano. Un’ipotesi ancor più plausibile “se gli attacchi di Bruxelles proseguiranno su scelte di valori“, ha detto il Ministro.
Orbàn ha fatto diffondere un documento in cui parla di “abuso di potere” della Commissione Europea. Secondo il Primo Ministro ungherese, Bruxelles non avrebbe alcuna competenza in materia, ma “vuole costringerci a fare entrare nelle scuole attivisti-Lgbtq“. Sarebbe infatti questo il motivo per cui l’Ungheria ora ha deciso di riconsiderare la sua adesione all’UE.
Secondo Orbàn “il Governo ha subito un attacco senza precedenti, solo perché la protezione dei bambini e delle famiglie è la nostra priorità e, a questo proposito, non vogliamo che la lobby Lgbtq+ entri nelle nostre scuole e asili“. Già a inizio luglio, la Commissione Europea aveva sospeso le procedure per l’approvazione del piano nazionale ungherese per avere accesso ai soldi del Recovery fund; l’UE ha spiegato di non avere avuto garanzie sufficienti sul buon uso dei fondi da parte del Governo di Budapest. Poco più di una settimana fa, tramite un video su Facebook, Orbàn aveva annunciato la convocazione di un referendum sulla norma che vieta la promozione dell’omosessualità nei confronti dei minori. La Commissione europea aveva avviato una procedura di infrazione, che lo stesso Orbàn aveva definito “banditismo giuridico“.
Quindi secondo Orbàn la minaccia di uscire dall’Europa dovrebbe allentare la pressione sul tema LGBTQ+, così da rendere l’Ungheria più libera di legiferare in autonomia senza la spada dell’UE sulla testa. A seguito dell’annuncio del referendum il Gay Pride di quest’anno ha visto oltre 30 mila persone scendere in piazza per manifestare nei confronti della deriva omofoba intrapresa dal primo ministro.