41 anni senza John Lennon: come muore una leggenda

Sono 41 anni che John Lennon ha lasciato la sua vita terrena. Una strada cominciata inspirando a Liverpool, per la prima volta, il 9 ottobre del 1940, ed espirando nel sangue di quattro colpi d’arma da fuoco, al Roosevelt Hospital Center di New York l’8 dicembre 1980.

L’ultimo giorno di John Lennon

Nessun di noi sa quale sarà l’ultimo giorno di vita, ma è di grande impatto emotivo ripercorrere l’ultimo giorno di un essere umano. Fa ancora più effetto, probabilmente, se quell’essere umano si chiama John Lennon e ha già rivoluzionato per sempre il mondo della musica e non solo.

L’8 dicembre 1980 è lunedì e la giornata di John Lennon inizia con un servizio fotografico firmato da Annie Leibovitz per conto di “Rolling Stones”. La grande fotografa statunitense non sa che quegli scatti passeranno alla storia come gli ultimi o quasi di Lennon. I due lavorano e hanno un piccolo diverbio: Leibovitz vuole solo Lennon, Lennon vuole essere ritratto con la (seconda) moglie Yoko Ono. Lennon ha la meglio, Annie Leibovitz lascia l’appartamento newyorkese dei coniugi alle 15.30. A seguire l’ultima intervista radiofonica, rilasciata Dave Sholin di RKO Radio Network di San Francisco. Finita quella, John e Yoko scendono in strada per prendere la limousine e andare a registrare. Davanti al portone del Dakota Building, nell’Upper West Side di New York, ci sono come sempre dei fan che chiedono a John di autografare gli album, fra questi c’è anche Mark David Chapman, già in posizione per l’omicidio.

John Lennon e Yoko Ono lasciano i fan e a bordo della limousine raggiungono i Record Plant Studios per lavorare al mixaggio di “Walking on thin ice” di Yoko. Sono circa le 17:40. Finita la sessione John e Yoko decidono di ripassare per il loro appartamento, prima di andare a cena fuori, per dare la buonanotte al figlio Sean di 5 anni.

L’omicidio: “Mr. Lennon!

John entra nel palazzo e si lascia alle spalle Mark David Chapman, nascosto nell’ombra. L’assassino lo prende alle spalle con 4 colpi, fatali. Si narra che Chapman chiama Lennon che però non si volta poi si mette in posizione da tiro e spara con un revolver Charter Arms 38 special. Quattro colpi da circa 3 metri perforarono il corpo di Lennon all’altezza del torace. Il colpo mortale perfora l’arteria succlavia.

Lennon si accascia, Chapman si siede sul marciapiede antistante il palazzo in attesa della Polizia. Saranno gli agenti stessi, resisi conto delle condizioni gravissime di Lennon, a portarlo al Roosevelt Hospital Center. Qui i medici del pronto soccorso tentano l’impossibile, ma Lennon muore alle 23:15 per ipovolemia. Si dice che nell’aria, al pronto soccorso, attraverso una radio suonasse “All my loving” dei Beatles.

La narrazione della giornata si chiude con la disperazione di Yoko e la corsa perché Sean apprenda da lei prima che dai media che il padre è morto. La notizia corre veloce per una soffiata del giornalista Alan Weiss casualmente lì in ospedale. Viene interrotta la partita di football sull’ABC, viene dato l’annuncio: “una tragedia indescrivibile è avvenuta a New York”.


Mark David Chapman, il mitomane assassino

In questi 41 anni in molti si sono chiesti chi fosse Mark David Chapman. Lui stesso in più occasioni, intervistato in detenzione ha risposto a questa domanda. Ha risposto anche al conduttore e giornalista Larry King: “Ero un nulla totale e il mio unico modo per diventare qualcuno era uccidere l’uomo più famoso del mondo, Lennon. Mi sentivo tradito, ma a un livello puramente idealistico. La cosa che mi faceva imbestialire di più era che lui avesse sfondato, mentre io no. Eravamo come due treni che correvano l’uno contro l’altro sullo stesso binario. Il suo ‘tutto’ e il mio ‘nulla’ hanno finito per scontrarsi frontalmente”. 

Chapman ci aveva già provato anni prima, ma non aveva avuto il coraggio. Quel lunedì 8 dicembre di 41 anni fa era stato tutto il giorno davanti all’edificio dove viveva John Lennon. Alla sua uscita pomeridiana gli aveva chiesto un autografo, pare avesse avvicinato prima il figlio Sean uscito in  compagnia della tata. Poi era rimasto appostato, nell’ombra, fino a sera inoltrata, fino a quando Lennon incontra il suo fatale destino.

La mitomania caratterizza il profilo di Chapman: la premeditazione, la motivazione, il prendere la mira, l’uccidere e poi il sedersi sul marciapiede in attesa delle autorità, leggendo “Il giovane Holden” di Salinger, si racconta. Rispondere sicuro alla domanda del poliziotto che prima di ammanettarlo gli chiede se sapesse cosa avesse fatto: “Yes, I just shot John Lennon“. “Ho appena ucciso John Lennon”, risponde.

Celebration and playlist

Durante la notte gli altri tre Beatles reagirono alla notizia in maniera diversa, ma certo filtrata dai media. Paul McCartney fu accusato per aver risposto in maniera frivola, Ringo Starr raggiunge Yoko a New York, George Harrison si circonda, nel panico, di guardie del corpo. Yoko Ono dichiara: “Non c’è funerale per John. John amava e pregava per la razza umana. Per favore fate lo stesso per lui. Con amore, Yoko e Sean”.

Sei giorni dopo è il giorno della celebrazione. Il 14 dicembre come Yoko Ono aveva chiesto si tengono i 10 minuti di silenzio in onore di Lennon. Milioni di persone in tutto il mondo rispondono all’appello. Sono tremila i fan a Liverpool, 225mila a Central Park. Dieci minuti di silenzio anche da tutte le stazioni radio di New York. Sono certi almeno tre suicidi di fan, avvenuti in quei 10 minuti. 


L’eredità di Lennon è nel suo messaggio e nella sua musica. Decine gli artisti hanno dedicato un brano a Lennon. E oggi è forse il giorno migliore per far risuonare “Roll on John” di Bob Dylan o “Empty garden (Hey Hey Jonhy!)” di Elton John, o “All those years ago” incisa da George Harrison insieme ai due altri Beatles per celebrare il passaggio di Lennon.

Ma resta chiaro che la migliore playlist è quella stessa di Lennon: Lennon celebri Lennon, oggi. Per la musica, per la pace.

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