Barbara Palombelli è “colpevole” di non aver cavalcato l’onda

L’editoriale del Direttore

In questi giorni ha fatto molto discutere l’episodio che ha visto protagonista dell’oramai usuale gogna mediatica, la giornalista e conduttrice televisiva delle Reti Mediaset Barbara Palombelli, che, durante la trasmissione “Lo Sportello di Forum” su Rete 4,  ha affrontato il delicato e drammatico fenomeno del femminicidio.

In occasione della puntata incriminata, Barbara si è rivolta al pubblico per porre una domanda che ha letteralmente scatenato, soprattutto sui social e su alcuni quotidiani, una ridda di accuse, a volte  offensive nei suoi confronti e che hanno suscitato l’indignazione anche di alcune  personalità del mondo politico.

La giornalista ha affrontato  il tema della violenza sulle donne sull’onda della recente sequela di epiloghi drammatici nei contrasti tra uomini e donne, conviventi o coniugati e si è rivolta al pubblico con queste parole: “Come sapete negli ultimi sette giorni ci sono stati sette delitti, sette donne uccise presumibilmente da sette uomini. A volte è lecito anche domandarsi, però, se questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati oppure c’era stato anche un comportamento esasperante e aggressivo dall’altra parte? È una domandaha proseguito la Palombelli, cercando di chiarire il senso della sua riflessione – che dobbiamo porci per forza, a maggior ragione a Forum, perché siamo in un tribunale e dobbiamo esaminare tutte le ipotesi”.

Queste parole fanno parte del cosiddetto preambolo, previsto dalla scaletta del programma,  ovvero una riflessione da parte della conduttrice,  introduttiva alla “causa” del giorno che, nella puntata oggetto delle polemiche, vedeva come  protagonista una signora che chiedeva la separazione dal marito lamentando maltrattamenti e violenze, per i quali il coniuge, però, era stato assolto dal magistrato.

Premesso che la giornalista ha posto un quesito e non ha espresso un parere personale, devo ammettere che faccio fatica a trovare nelle parole della Palombelli un elemento del suo discorso che volesse far passare per colpevoli di un delitto le vittime di quest’ultimo.

Ho viceversa inteso che, per obiettività e parità di giudizio, utilizzando forse un’espressione facilmente equivocabile, abbia voluto sollecitare la platea dei telespettatori a riflettere, non certo sulla legittimazione di chi commette un omicidio, che in quanto tale non ammette alcuna giustificazione, ma, piuttosto, sull’opportunità di approfondire le cause a monte di un gesto così  estremo.

E’ noto che gli investigatori delle Forze dell’Ordine e i magistrati inquirenti, dovendo valutare quali possono essere stati i motivi che hanno indotto un essere umano a compiere un reato, tanto più se si tratta di un crimine di tale gravità, lo fanno, ovviamente, prescindendo dal genere di appartenenza di chi lo ha commesso. Come dire che, sebbene l’autore di un omicidio sia  colpevole “ipso facto“, nel caso specifico del femminicidio non lo si può di certo giudicare e condannare solo in virtù del genere di appartenenza, ma sulla base delle prove e delle  testimonianze raccolte durante le indagini.  Aggiungo che la Palomebelli non ha risposto al quesito esprimendo un suo punto di vista, ma ha solo lanciato uno spunto di riflessione al suo pubblico.

Sebbene abbiano ragione coloro  che denunciano la poca sensibilità mostrata talvolta dalle Istituzioni per l’inadeguatezza delle misure di prevenzione nei confronti delle donne vittime di violenza, permettetemi di inserire  tra le vittime anche gli uomini, perché ci sono dati allarmanti anche riguardanti questo fenomeno e le violenze non risparmiano nè gli uni che le altre.

Purtroppo, i  femminicidi in Italia sono in netto aumento e secondo alcune organizzazioni umanitarie in difesa dei diritti delle donne, i dati che vengono forniti dalle Forze dell’Ordine in merito a questo tipo di reato sono incompleti, in quanto sarebbero   dimezzati rispetto alla realtà. Altrettanto vero è che esiste, purtroppo, una fetta dell’opinione pubblica che tende a giustificare l’autore del crimine adducendo con motivazioni ovviamente inconsistenti, sia sul piano giudiziario che sul piano umano,  la responsabilità del delitto alle vittime medesime: se l’è cercata, andava vestita in modo provocante, ecc…


Ma il tema delle violenze domestiche, psicologiche e fisiche, è comune ai due generi e non può e non deve essere centrale solo per il genere femminile, perché i dati forniti dall’Istat, l’Istituto Nazionale  di Statistica, rivelano una situazione sorprendente e allarmante per  entrambe i generi.

Esistono forme di violenza sommersa, perché forse se ne parla molto meno, che vedono  nel ruolo della vittima anche  l’uomo. L’Istat nel 2018 ha condotto un’indagine molto accurata finalizzata alla raccolta di dati  sulle molestie a danno degli uomini, di ogni genere, comprese quelle a sfondo sessuale. Dallo studio dell’Istituto Nazionale di Statistica emerge che, sebbene inferiori numericamente alle violenze sulla donna, le violenze subite dagli uomini  sono una realtà concreta, ma poco conosciuta.

Già nel  2012 l’Università di Siena aveva cercato di analizzare il fenomeno e i risultati emersi dallo studio erano stati  allarmanti: 5 milioni di uomini vittime degli stessi tipi di violenza che subiscono le donne. Il problema relativo a questi fenomeni  è che la maggior parte delle vittime uomini non denuncia, sia a causa dello stereotipo di virilità che li accompagna, sia per il timore di non essere sufficientemente creduti. I numeri rilevati sono quindi più bassi di quelli relativi alle violenze sulle donne, ma si tenga presente che si parla solo di dati ufficiali, che non rispecchiano in toto la realtà.

Analizzando nello specifico i casi di violenza sugli uomini, la forma di molestia più diffusa, secondo l’Istat, è quella verbale, seguita dai pedinamenti e, infine, dalle  molestie fisiche. Il luogo in cui si consuma la maggior parte dei casi di violenza è anche per gli uomini la casa. Proprio tra congiunti si verificano i casi più gravi: gli uomini di solito sfogano la loro rabbia ricorrendo alla forza fisica, mentre le donne agiscono verbalmente e sulla psiche dell’uomo. Anche l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna ha studiato il fenomeno: la violenza psicologica è subita anche da uomini e bambini e secondo la ricerca le autrici sono in prevalenza  donne. Trattandosi di una violenza meno evidente di quella fisica, gli uomini  spesso non la riconoscono, soprattutto se diventa la modalità relazionale più usata in famiglia.

Oltre ai report dell’Istat è difficile trovare dati che raccontano il “fenomeno” per cui molti pensano che sia così solo perché ci sono meno casi. Vi  invito a leggere il libro della giornalista e scrittrice  Barbara Benedettelli  dal titolo 50 sfumature di violenza. Femminicidio e maschicidio in Italia”, dedicato  alla violenza in generale senza distinzione di genere e che scrive testualmente: “Che ci siano meno casi di violenza sugli uomini non è un dato di fatto. In Italia non ci sono indagini ufficiali e largamente condivise che possono confermarlo. E gli uomini, a causa dello stereotipo di virilità e della quasi certezza di non essere creduti, non denunciano”.

Sono tanti i casi che la  Benedettelli riporta nel suo libro senza mai fare differenza di genere e facendo riferimento anche alla  ricerca dell’Università di Siena sopracitata e da cui emerge che un 60,5% di uomini intervistati parla di spintegraffimorsicapelli strappati, mentre un 51% denuncia il  lancio di oggetti e in misura minore di  folgorazione con la corrente elettrica o dita schiacciate con la porta. A subire questi atti, ovviamente, non solo uomini, ma anche donne.

Nel 2017,  ad esempio, escludendo i delitti in ambito criminale, i maschicidi sono stati paradossalmente più dei femminicidi: 133 contro 128. Gli omicidi-suicidi in ambito familiare e di coppia sono stati 30: 28 uomini e 2 donne. I suicidi noti, dove la causa è legata alla fine di una relazione, sono stati 39: 32 uomini, 8 dei quali disperati per il distacco forzato dai figli e 7 donne, tra cui due bambine di 12 e 14 anni che soffrivano per la separazione dei genitori.

I numeri dei casi di violenza sugli uomini sono inferiori a quelli sulle donne, ma comunque da non sottovalutare.

Mi sembra scontato ma, tuttavia, ritengo utile ribadirlo che, chiunque commetta un omicidio, donna o uomo che sia, debba essere rigorosamente giudicato e punito secondo quanto previsto dalla legge, ma sulla base di parametri di giudizio rigorosamente univoci  in merito all’attribuzione delle responsabilità e conseguentemente anche delle pene previste a carico dell’autore o dell’autrice del delitto.

Tornando sul caso della Palombelli, mentre non si può che condividere,  senza alcuna riserva, il legittimo richiamo che proviene da più parti in merito al drammatico e tragico aumento del susseguirsi  delle violenze subite dalle donne, in special modo in quest’ultimo periodo, non è accettabile, viceversa,  la pubblicazione sui social di commenti dai toni offensivi e violenti nei confronti della  giornalista,  perchè, oltretutto, costituiscono essi stessi un atto di violenza. Del resto va sottolineato che, a seguito delle polemiche, la stessa Palombelli ha tentato di spiegare il significato della sua affermazione, scusandosi per non essere stata probabilmente sufficientemente chiara nell’esprimersi.

La domanda posta da Barbara al suo pubblico è stata definita vergognosa anche da alcuni esponenti politici e delle Istituzioni. Mi chiedo allora, per quale motivo costoro non assumano il medesimo atteggiamento nei confronti degli autori delle frasi e dei commenti, offensivi e diffamatori, che appaiono  sempre più frequentemente sui social anche su vicende diverse.

Si può dire che le parole di Barbara Palombelli siano state espresse in modo equivocabile? Può darsi.

Si può dire che la giornalista abbia voluto affrontare un tema molto complesso, che meritava un particolare approfondimento e che forse non era congeniale a quel tipo di programma?  Può darsi.

Si può dire che la domanda posta dalla Palombelli non cavalcava l’onda corrente che mediaticamente propende a interessarsi di più al tema delle violenze sulle donne piuttosto che affrontare la realtà nascosta delle violenze sugli uomini?  Può darsi.

Si può dire che la domanda rivolta disinvoltamente al suo pubblico avrebbe invece meritato  un programma di approfondimento ad hoc? Può darsi.

Tuttavia, sono convinto, che le parole di Barbara non abbiano nulla  di cui si debba vergognare, se si crede nella parità di genere non solo a parole, ma anche con i fatti, ovvero cercando di scoprire ed accertare nel profondo dell’animo e del comportamento delle persone, le  cause, spesso nascoste, che inducono un uomo o una donna a commettere delitti cosi gravi ed efferati.

Forse, invece di innescare con la complicità della rete le solite trite e ritrite  diatribe lunghe,  inutili  e spesso violente, sarebbe opportuno e certamente più utile per la società civile, affrontare, nelle sedi più opportune, il dibattito sulle violenze su entrambi i sessi,  cercando di comprendere e prevenire con maggiore equità e imparzialità gli effetti devastanti di un crescente malessere sociale, che può spingere un essere umano ad un gesto estremo come l’omicidio, il suicidio, l‘omicidio-suicidio e come accaduto anche di recente  il  figlicidio.

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