Dalla politica monetaria internazionale segnali contrastanti di inerzia e di attivismo

Bisognerà vedere quale sarà la reazione dei mercati all’ennesimo segnale rassicurante proveniente da Francoforte, dopo le parole pronunciate giovedì scorso dalla Presidente della Banca Centrale Europea – BCE, Christine Lagarde. Non sono state, infatti, prese decisioni in materia di misure di politica monetaria; anzi, si è ribadito come l’insorgere dell’inflazione, ormai registrato in tutti i Paesi dell’Unione Europea, sia da considerarsi un fenomeno di natura temporanea, dovuto essenzialmente a strozzature dal lato dell’offerta aggregata, che producono un effetto indesiderato di razionamento della domanda, innescando il meccanismo di crescita dei prezzi.

Le conseguenze di questa diagnosi si riflettono, sia sulla politica di tassi di interesse praticata dalla BCE, che rimanendo sostanzialmente invariata li lascerà ancora, in assenza di cigni neri, in territorio negativo almeno fino alla fine del prossimo anno; sia sul versante della politica di immissione di liquidità sul mercato, che continuerà, prolungando, cosi, l’attuale fase espansiva; sia, infine, sul fronte delle misure di contrasto agli effetti economici perversi, legati al diffondersi della Pandemia da Covid ’19, il PEPP, che, quindi, dovrebbe arrivare alla scadenza naturale programmata nel marzo del prossimo anno.

Analizzando l’orientamento ribadito da Francoforte (dal luglio dello scorso anno le 11 riunioni svoltesi alla BCE hanno generato una sola volta delle decisioni innovative) alcuni osservatori stanno cominciando ad avanzare l’ipotesi di una sua inerzia monetaria.

Un atteggiamento che, certamente, contrasta con l’attivismo di altre Banche Centrali. Gli esempi in tal senso non mancano: dal Brasile, dove nel tentativo di raffreddare un’inflazione decisamente elevata, il tasso di interesse è  stato portato al 7,75%, alla Russia che ha ritoccato il proprio tasso di interesse all’insù per la sesta volta dall’inizio dell’anno, fissandolo al 7,5%; dalla Turchia, che, invece, lo ha ribassato al 16% nel tentativo di produrre un’efficace stimolazione economica, al Canada, che ha recentemente interrotto il proprio piano di Quantitative Easing, misura che sembra preannunciare un imminente rialzo dei tassi.

In definitiva, se per ora dal lato dell’Unione Europea la mancanza di decisioni dovrebbe suonare come un segnale rassicurante, l’attivismo delle Banche Centrali di Paesi con un peso economico significativo comincia a gettare ombre inquietanti sullo scenario globale, innescando indesiderate tensioni sui mercati finanziari alle prese con il problema di valutare il reale impatto delle attuali cariche inflazionistiche.

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