omesessuali

Giornata della Memoria: l’omocausto. I triangoli rosa di Auschwitz

La storia ci ha raccontato e continua a raccontarci una delle pagine più triste degli ultimi 100 anni. E noi questa volta vogliamo parlare dell’omocausto, ovvero l’olocausto contro gli omosessuali.

Questo termine è abbastanza recente; lo troviamo per la prima volta in un libro chiamato “Homocaust” del 1984 dello scrittore, giornalista e saggista italiano Massimo Consoli. Nella prefazione del libro si legge: “Una delle pagine più atroci e sottaciute della nefasta storia del nazismo è quella relativa alla persecuzione degli omosessuali. “Homocaust” scrive questa pagina, attraverso una puntuale ricostruzione delle fasi storiche che portarono il pregiudizio antiomosessuale a divenire uno dei capisaldi dell’ideologia nazista. A partire dalle stesse implicazioni omosessuali che in Germania caratterizzarono l’avvento al potere del Partito nazista, e che segnarono sullo sfondo il tragico divenire del Terzo Reich, fino allo sterminio di centinaia di migliaia di “Triangolo Rosa” nei lager hitleriani“.

Tutto parte quando la tradizionale condanna dell’omosessualità, in particolare quella maschile, era stata formalizzata per il nuovo Stato unitario tedesco nel 1871 dal Paragrafo 175 del codice penale, che criminalizzava i rapporti sessuali tra uomini e li puniva con la reclusione. 

Con la presa al potere di Hitler nel 1933 iniziarono le prime persecuzioni e il primo anno di governo nazista, sarà quello della radicale opposizione all’omosessualità a imporsi. L’omosessualità, in questa prospettiva, assunse implicazioni “morali” che la identificarono con una depravazione che avrebbe portato alla degenerazione del popolo tedesco. Gli omosessuali inoltre, stigmatizzati come deboli ed effeminati, non solo non sarebbero stati adatti a combattere per la nazione tedesca, ma non avrebbero neanche contribuito adeguatamente alla crescita demografica della razza.

 

Il triangolo rosa con cui venivano segnati gli omosessuali

Tra il 1933 e il 1945 si contano circa 100.000 arresti per il reato di omosessualità nel Reich. Di questi circa 15.000 furono inviati nei campi di concentramento mentre il resto scontò le condanne in carcere. Solo il 40% dei deportati riuscì, di fatto, a sopravvivere.

Ma i numeri sono difficili da rendicontare perché gli archivi di molti lager furono distrutti prima di poterne entrare in possesso. Per cercare di capire le ragioni di un accanimento così feroce, riportiamo le parole di Heinrich Himmler, il numero due di Hitler, che dicharò: “Tra gli omosessuali ci sono alcuni che adottano il punto di vista seguente: “Ciò che io faccio non riguarda nessuno, si tratta della mia vita privata”. Ma non si tratta della loro vita privata. Per un popolo il dominio della sessualità può essere una questione di vita o di morte. Un popolo che ha molti bambini può aspirare all’egemonia mondiale, alla dominazione del mondo“. Compiere atti sessuali tra uomini, quindi, equivaleva ad essere sabotatori della razza ariana e traditori della Patria.

Le violenze contro gli omosessuali

Agli omosessuali erano riservate le violenze più indicibili e le mansioni più dure da parte dei nazisti, come dicevano loro “a scopo terapeutico“. Subirono trattamenti disumani e terribili torture fisiche e psichiche. I più forti lavoravano nelle cave di argilla e nelle fabbriche di mattonelle, sotto ogni tipo di condizione atmosferica, mentre i più deboli, considerati inutili, venivano spediti nelle camere a gas. Secondo le testimonianze di alcuni ex deportati, per le SS rappresentava una nota di merito sbarazzarsi di loro, perché considerati razza infame. In più erano cavie da laboratorio dove tramite loro si sperimentava fino a quando un corpo poteva sopportare le scariche elettriche immerso in una tinozza piena d’acqua. Tra le cause di morte vi furono anche gli aberranti esperimenti clinici ai quali molti vennero sottoposti, attraverso i quali i medici nazisti si proponevano di trovare una “cura” per l’omosessualità.

Nei lager furono usualmente tenuti separati dagli altri internati, circostanza che rendeva difficile creare quelle reti di supporto con gli altri prigionieri fondamentali per restare in vita, e nell’assegnazione dei lavori forzati il più delle volte venivano destinati ai compiti di maggiore fatica per portarli rapidamente alla morte.

 

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