Il Presidente del Consiglio Mario Draghi nel febbraio del 2021 ha accettato l’incarico, conferitogli dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di formare un Governo di emergenza, dopo che il Parlamento italiano, a seguito delle dimissioni dell’allora Premier Giuseppe Conte, non era in grado di esprimere un nome di una personalità politica di riferimento su cui trovare la convergenza, che fosse in grado di formare un nuovo Esecutivo.
Sergio Mattarella, pertanto, ha conferito a un cittadino dalla caratura e dal prestigio internazionale,Mario Draghi, l’incarico di formare non tanto un Governo di unità nazionale, come spesso viene definito quello oggi in crisi, quanto un Governo di emergenza nazionale.
Al Governo di unità nazionale, infatti, partecipano generalmente tutte le forze parlamentari presenti nell’arco costituzionale, mentre nel Governo di emergenza nazionale possono essere presenti anche forze di opposizione che non hanno votato la fiducia al nuovo Esecutivo, come il caso di Fratelli d’Italia nell’attuale Governo.
Il Governo di emergenza nazionale affidato a Draghi, quindi, si forma per svolgere alcuni compiti ben definiti: gestire le ultime fasi della grave crisi pandemica e attuare le riforme che fanno parte del progetto del Pnrr e attraverso le quali risanare l’economia del paese.
Durante il difficile e complesso percorso, l’Esecutivo ha, tuttavia, dovuto affrontare una terza emergenza, quella di dover gestire in ambito europeo e internazionale l’inattese conseguenze dello scoppio della guerra tra Ucraina e Russia con le conseguenti azioni diplomatiche, economiche e militari da parte dell’Italia, agendo sempre nel rispetto degli accordi con le forze dell’Alleanza atlantica e dell’Europa.
Questa terza emergenza ha innescato un’importante aggravamento di una crisi economica che era preesistente allo scoppio della guerra, causando nel paese e nel Vecchio Continente una grave crisi economica dovuta agli aumenti dei costi di importazione di alcune indispensabili materie prime, divenute, nel tempo, irrinunciabili per la vita delle varie comunità che popolano l’intero pianeta e generando così una progressiva ulteriore emergenza di carattere sociale. Quest’ultima ha tutt’oggi una forte ripercussione sulle categorie più fragili della società, determinandone un progressivo impoverimento.
Si potrebbe paragonare oggi l’Europa e l’Italia in particolare, ad un “transatlantico” che deve solcare l’oceano in tempesta e per analogia si può facilmente immaginare che l’attuale armatore sia il Presidente della Repubblica, il Comandante scelto da quest’ultimo sia il Presidente del Consiglio, mentre il Governo e le forze parlamentari l’equipaggio e gli italiani i passeggeri.
Ma supponiamo di essere davvero a bordo di una nave in mezzo alla tempesta e dove alcuni componenti dell’equipaggio, giunti ad un certo punto del viaggio, non condividono, anzi si rifiutano di eseguire gli ordini del Comandante. Per il potere conferitogli dal Diritto internazionale di navigazione e per l’autorità che riveste, il Comandante ha la facoltà di destituire dal proprio incarico i membri dell’equipaggio inosservanti e procedere, comunque, al governo della nave, per assicurare il prosieguo del viaggio fino al porto di destinazione, garantendo, in tutti modi, la sicurezza dei passeggeri e subordinatamente a questi ultimi, del proprio equipaggio.
Anche al di fuori dell’etica della navigazione marittima, in nessun caso è consentito a chiunque occupi il vertice di un posto di comando, sfuggire alle proprie responsabilità, lasciando in balia della tempesta o delle criticità coloro di cui, per effetto del proprio ruolo, ha accettato di averne la piena responsabilità.
L’insensato caso dell’abbandono della nave della Costa Concordia da parte del proprio Comandante, di fronte al rischio di un imminente naufragio a causa di un grave incidente durante la navigazione, sappiamo bene e dolorosamente, purtroppo, quali danni e quanti lutti abbia provocato.
Sino a che la tempesta imperversa, il Comandante, a volte suo malgrado, deve restare al proprio posto, impartire e fare osservare gli ordini, cercare di contenere al minimo i danni, assumersi le responsabilità di gestire al meglio delle proprie capacità ogni difficoltà derivante dalla criticità dall’emergenza in atto, sino a superarla, garantendo la sopravvivenza a tutti coloro la cui sorte dipende dalla sua azione di comando.
Il Comandante è sempre l’ultimo ad abbandonare il proprio posto, perché l’autorevolezza del suo ruolo lo obbliga al tempo stesso di garantire, per quanto possibile, l’incolumità delle persone di cui ha assunto il comando.
L’abbandono del posto di comando è considerato alla stregua del tradimento degli obblighi assunti accettando l’incarico che, in qualunque circostanza, obbliga chi comanda a restare al proprio posto, almeno sino al termine della missione affidatagli. Fa, ovviamente, eccezione il caso di ammutinamento, in cui il Comandante viene sfiduciato e rimosso dal suo stesso equipaggio.
L’Italia è come un transatlantico nel pieno di una tempesta e a noi passeggeri e all’equipaggio compreso, non resta che ribadire la fiducia nell’indiscusso valore e nelle provate capacità del Comandante, certi che farà di tutto per superare i forti venti di burrasca e ci consentirà di raggiungere sani e salvi la metà prefissata.
A buon intenditore poche parole!
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