L’angelo letterario di Eduardo Halfon: un libro per chi ama la letteratura

Cosa ha spinto i grandi autori a scrivere? Prova a rispondere a questo quesito lo scrittore guatemalteco Eduardo Halfon con “L’angelo letterario” (Cavallo di ferro). Un libro frammentario, un po’ diario e un po’ romanzo, in cui si rivela, passo dopo passo, il cammino che i grandi della letteratura mondiale di tutti i tempi hanno fatto fino all’incontro con questo essere evanescente, come nel titolo, riflesso della loro stessa creatività.

Primo passo: partiamo dall’esigenza

Condizione comune di partenza è che la realtà non era mai sufficiente: “mancava la magia”. Halfon sceglie questa frase di Herman Hesse per spiegare come tutto sia sempre partito dall’insoddisfazione dei grandi autori per il proprio vissuto. La penna, allora, diventa l’arma di rivoluzione a questo status quo, per l’autore tedesco come anche per altri grandi scrittori citati nelle sole prime 30 pagine: Augusto Monterroso, Sylvia Beach, Ezra Pound, Gertrude Stein e Fedor Dostoevskij.

Bene, la penna l’abbiamo impugnata. E adesso? Carver giunge a fare chiarezza parlando degli influssi che sono forze, occasioni, possibilità, irreversibili come la marea. La scrittura giungerà cioè soprattutto come effetto di avvenimenti specifici che devono in ogni caso avvenire nella vita dell’aspirante scrittore. Carver, per esempio, iniziò per aver affittato una camera d’albergo al fine di sfuggire alle vicissitudini famigliari e dai problemi economici in cui versava. Brecht cominciò a scrivere le sue commedie a seguito della fuga dal benessere della sua famiglia, in una mistica imitazione di San Francesco, alla volta della vita vera.

Tutto è pronto e adesso “scriviamo bene”

Proseguiamo: abbiamo la penna e l’occasione giusta. Scriviamo, allora! Ma cosa? E come? L’unica cosa che devi fare è scrivere una frase vera, suggerisce Hemingway. Halfon, invece, risponde inserendo una digressione sul saper scrivere diverso dallo scrivere bene. In questa spiegazione entrano le parole di Truman Capote. “All’inizio è stato molto divertente. Non lo è più stato quando ho appurato la differenza tra scrivere bene e scrivere male, e poi ho fatto un’altra scoperta, ancora più allarmante: la differenza tra scrivere bene e la vera arte”.

Nella considerazione dello scrittore bravo, ancora, Halfon cita l’importanza del contesto, delle amicizie e della dote. Sul questo tema, Nabokov si autodefinisce un genio precoce, un winderkind, mentre Neruda, già in tenera età – si legge – scrive poesie d’amore per conto di un compagno di scuola, con il risultato di aggiudicarsi lui, e non il vero innamorato, la mela cotogna della bella corteggiata. Inoltre, qui, un cenno al bagaglio che lo scrittore si deve costruire e ai classici indispensabili: Omero, Catullo, Ovidio, Chaucer, Dante, Flaubert, Stendhal e Harry James.

Perchè, dunque, si scrive?

Siamo all’epilogo. Se l’analisi delle parti è abbastanza esaustiva, è chiaro, com’era pensabile, che non c’è risposta alla domanda iniziale: perché, dunque, si scrive? Il quesito, infatti, resta sospeso, la questione irrisolta. Rimangono, invece, nelle mani di chi legge questo libro tanti nomi, parole, bellissimi spunti e una grande grandissima voglia di leggere. Del resto – com’è scritto sul retro copertina – questo è un libro per chi ama la letteratura.
Niente di più, niente di meno.

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