Parità retributiva di genere: per l’UE è il momento di decidere

Nella prima settimana di questo mese si conclude la consultazione sulla Proposta di Direttiva UE 2021/93 del Parlamento e del Consiglio per rafforzare l’applicazione del principio di parità di retribuzione tra uomini e donne  per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

Uno squilibrio di genere, che si sta prolungando nel tempo, nonostante le precedenti Direttive Europee in materia di lavoro e ancor prima quanto previsto nei Trattati di Roma sulla CEE e di Amsterdam del 1997,  nonché le norme di tipo nazionale nei diversi Paesi dell’Unione. In particolare,  nel caso dell’Italia, basti ricordare il dettato costituzionale dell’articolo 37, o quanto viene sancito all’articolo 28 nel più recente Codice delle Pari Opportunità.

La Proposta di Direttiva si segnala, oltre che per la rilevanza dell’obiettivo finale, per alcuni aspetti rilevanti sul piano socio economico. Infatti, il concetto di pari valore viene, finalmente, ancorato a criteri di natura oggettiva (competenze, formazione, responsabilità, etc.) per renderne meno complessa l’individuazione e la relativa applicazione. Così come viene accolta una definizione, sicuramente, più onnicomprensiva del concetto di retribuzione, risultando incluse, oltre la retribuzione di base, le varie possibili indennità accessorie (gratifiche, di alloggio, di malattia, etc.) che scandiscono i diversi momenti della vita professionale dei lavoratori, fino ad estendersi ai trattamenti pensionistici complementari.

Molto importante in questo nuovo Testo proposto dell’UE appaiono anche due punti dal lato dei datori di lavoro. Il primo riguarda il momento precedente l’assunzione, quello, cioè, attinente la fase dell’offerta di lavoro, che deve risultare chiara e facilmente comprensibile, se avviene tramite offerta pubblica; e, comunque, non deve prestarsi a equivoci od omissioni nel caso di colloqui privati.

L’altro punto riguarda il contenzioso sollevato dal lavoratore che si sente discriminato e chiama in giudizio il proprio datore di lavoro. Nella fase processuale, con una classica inversione della prova, sarà il datore di lavoro a dover dimostrare che non vi è stata discriminazione e non il lavoratore a dover dimostrare l’avvenuto torto subito.

In definitiva, la Proposta di Direttiva UE interviene in modo deciso su questo odioso aspetto di discriminazione, segnando un cambio di passo  e un innalzamento del livello di civiltà giuridica. Rimane solo un dubbio: sarà , dopo i tanti tentativi del passato, la volta risolutiva?

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