Presidente Sella all’inaugurazione Anno Accademico del Collegio Cavalieri del Lavoro

È stato inaugurato ieri l’anno accademico 2020-2021 del Collegio Universitario dei Cavalieri del Lavoro, “Lamaro Pozzani”,  riconosciuto collegio universitario di merito dal Miur.

Nell’occasione, Maurizio Sella, Presidente della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro e del gruppo bancario fondato a Biella 135 anni fa, ha tenuto un interessante discorso, motivante e coinvolgente per i giovani, sulle aziende di famiglia e le caratteristiche principali per avere successo.

Questo intervento è venuto dopo un’intervista che il Presidente Sella ha rilasciato al giornale “La Stampa” il 28 febbraio u.s.

Ne riportiamo un ampio stralcio. Nei pensieri del Presidente, infatti,  si raccolgono  le idee, gli orientamenti e le attese dei Cavalieri del Lavoro, categoria che è espressione di un’Italia che produce e si impegna:

Presidente Sella, da cosa ripartirà l’Italia?
“Dalla reputazione, che porta ricchezza e valore aggiunto. Le nostre imprese hanno una credibilità importante, quella del Paese deve aumentare. Servono regole e tempi certi. Gli investimenti diretti dall’estero non ci vedono certo primeggiare. È il momento di fare, di semplificare. Siamo di fronte a un’occasione irripetibile”.

Il piano di riforme per accedere ai fondi Ue non è ancora pronto. È un rischio?
“Il Governo saprà usare al meglio il Recovery. Non siamo più indietro degli altri, oggi ci sono le condizioni per arrivare perfettamente in tempo alla scadenza”.

Su che cosa bisogna puntare?
“Occorre rispettare i vincoli e scegliere opere — meglio poche e grandi — che si possono realizzare davvero, sul modello del Ponte Morandi”.

Che ruolo avranno le banche?
“Hanno una funzione molto importante nella ripresa con le loro concessioni di credito permetteranno di crescere ad un numero importante di aziende, purché valide. Il Paese cresce molto meglio se facilita le imprese vitali e smette di mantenere in vita aziende che non ce la fanno più. Oggi nelle banche c’è una gran quantità di depositi: significa che c’è prudenza, ma anche che investimenti e consumi sono modesti. Io penso arriverà una ripresa molto forte, e gli istituti di credito devono accompagnarla”.

Abbandonare al loro destino le cosiddette aziende zombie non è un pericolo a livello sociale?
“Se possibile prima di tutto vanno ristrutturate. Abbiamo già una lunga serie di strumenti per tutelare i lavoratori, ne cercheremo altri. L’impresa sana crea ricchezza e quella crescita del Pil indispensabile per ripagare il debito pubblico e creare nuova occupazione”.

I 209 miliardi di aiuti hanno cambiato il modo in cui gli italiani guardano all’Ue?
“Mi sono fatto l’idea che la pandemia abbia cambiato l’Europa. Non avrei creduto ai 209 miliardi: sono un segno di cambiamento epocale, così come il debito comune. Oggi siamo più simili agli Stati Uniti”.

La pandemia ha costretto milioni di italiani allo smart working e ad affidarsi ai servizi digitali, anche in banca. È una svolta da cui non si torna indietro?
“In un anno c’è stata una crescita culturale notevole. Stiamo colmando le distanze che ci separano da inglesi e francesi. Non sempre chi parte dopo è svantaggiato”.

 

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