Un inedito versante di sviluppo per le criptovalute

Nel complesso e convulso panorama internazionale delle criptoattività, spesso al centro della cronaca economica per le mirabolanti performance, ma anche per la volatilità delle loro quotazioni, sta emergendo un nuovo mercato finora relativamente poco pubblicizzato.

Prima di parlarne occorrerà ricordare che, finora, in tema di criptoattività l’attenzione degli osservatori economici è stata catturata, sia dai progetti di valute digitali lanciati da privati che hanno suscitato reazioni decisamente avverse, sia da quelli allo studio di Banche Centrali, segnatamente della Banca Centrale Europea e della Bank Of China. Per queste ultime due I tempi di realizzazione stimati prevedono un medio termine per il progetto della BCE (circa cinque anni) e uno breve, già dal prossimo anno, per l’altro della Bank of China.

Quanto al nuovo mercato, cui prima si accennava, il ruolo di protagonista, un po’ a sorpresa, potrebbe essere svolto da alcuni Stati del Continente Africano. A parte il progetto pilota in fase di sperimentazione del Sudafrica è, infatti, la Nigeria ad aver lanciato dalla fine dello scorso ottobre lo e- Naira, la valuta digitale emessa dalla Central Bank of Nigeria. Nonostante la tiepida accoglienza finora riscossa, l’esempio nigeriano potrebbe essere seguito, relativamente a breve, da altre nazioni del continente nero, come l’Egitto, il Kenya e il Marocco.

Quali le cause di questa propensione alla creazione e all’utilizzo delle valute digitali ufficiali nei Paesi africani? Certamente, un concorso di cause legate, sia alla crescente diffusione degli smartphone con le relative applicazioni, sia alla volontà delle Autorità istituzionali di non perdere il controllo delle transazioni e delle relative modalità di pagamento che spesso si orientano verso circuiti privati; una preoccupazione questa,  comune, come ormai accertato, anche alle Autorità cinesi.

Vi è, infine, un terzo fattore che, nel caso dei Paesi africani, sembra avere un ruolo non banale, ovvero le rimesse degli emigrati, quasi sempre effettuate in valute pregiate; un’ingente massa di danaro che, certamente, non si vuol lasciare all’ intercettazione dei soli canali privati.

Saranno, dunque, i Paesi tradizionalmente considerati meno sviluppati a costituire il vero argine nei confronti della diffusione incontrollata dei bitcoin e degli altri strumenti finanziari digitali?

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