I 102 anni di Astor Piazzolla, tra il tango e la dittatura

“Sono un nemico del tango; ma del tango come lo intendono loro. Se tutto è cambiato, deve cambiare anche la musica di Buenos Aires. Siamo molti a voler cambiare il tango, ma questi signori che mi attaccano non lo capiscono né lo capiranno mai. Io vado avanti, senza considerarli”. 

Queste parole sono del re del tango, Astor Piazzolla, e risalgono a una lontana intervista del 1954, quando tutto si poteva rivoluzionare, tranne il tango. Astor lo sapeva bene e sulla linea del “C’è bisogno che tutto cambi affinché nulla cambi” (citazione, ma non sua), il “re” ha impostato la sua vita e poetica dietro il tango: un genere musicale, un ballo e uno stile di vita.

Astor Piazzolla è nato a Mar del Plata l’11 marzo 1921, da sempre considerato un assassino dai “conservatori”del tango, ma da tutti amato per aver regalato al mondo intero il “Nuevo Tango“. Se potesse un articolo suonare, vorremmo che parlasse  di “Libertango”, “Marìa de Buenos Aires” o “Adiós Nonino”.

Le origini del “re

Un’origine, la sua, italiana. Dopo aver vissuto alcuni anni a New York, Astor Piazzolla torna in Argentina nel 1936 dove inizia a suonare il bandoneon, un tipo di fisarmonica. Nel 1941, si avvicina alla musica classica grazie al compositore Alberto Ginastera. Nel ’46 iniziano i primi esperimenti e negli anni ’50, si trasferisce in Francia.

Immerso nella vita francese di metà novecento, Astor decide di lasciare i suoi vecchi strumenti, ma il suo talento venne riconosciuto dalla direttrice d’orchestra (o direttore qualsivoglia) Nadia Boulanger che lo esorta a non mollare. Nel 1955 fa ritorno in Argentina e qui diede vita al suo primo esperimento mettendo insieme otto strumenti: due bandoneon, due violini, un contrabbasso, un violoncello, un piano e una chitarra elettrica.

Nel 1973, si traferisce in Italia dopo un attacco cardiaco. Qui, pubblica Libertango. Tra il 1976 e il 1983, rimane a vivere in Italia quando l’Argentina si trovava sotto la dittatura militare. Nel 1990 a Parigi, ha un’emorragia cerebrale ed rimane in coma per due anni.

Astor Piazzolla muore a Buenos Aires il 4 luglio 1992.

Astor Piazzolla, strumento militare 

Esiste un filo sottile che non tutti sanno, o non vogliono, vedere. La musica che è l’unico strumento in grado di far da raccoglitore di emozioni, di sensazioni e di segreti, riesce ad incanalarsi in qualsiasi argomento comodo o scomodo a seconda delle circostanze. Cosa c’è di più scomodo della politica? Su questa linea, dietro a una melodia, priva dunque di testo, si nasconde sempre qualcosa. Perché  è sempre “un qualcosa” che alimenta e spinge un musicista a comporre.

Fatto questo preambolo, possiamo, dunque, dire che Piazzolla fu uno strumento militare. Il suo chitarrista dichiarò “Per ambizione personale, per incultura politica, per codardia, o chissà per quale altra ragione”. Ma il compositore “si sentiva a suo agio col potere” e nel 1978 pubblicò brani di propaganda e tenne un concerto di appoggio alle truppe argentine in guerra.

Non a caso, il tango era divenuto un sottofondo musicale per le torture. La stessa musica che veniva utilizzata per un ballo, veniva scelta e messa a tutto volume per coprire le urla dei prigionieri. Ma allo stesso tempo, cantato dagli stessi per far fuggire la mente dalla realtà.


Per urlare la propria libertà.

Strano come tutto questo possa essere vero, ma proprio ciò che non passa minimamente per la testa possa essere la realtà, che piace e interessa. Questo è il tango.

Uno strazio, un lamento, una paura, un bisogno di riscatto, una copertura, un odio, un amore, un grido.

Ma al mondo continuerà a piacere  proprio per questo, perché riesce a toccare le corde giuste che si muovono tra paura di scappare e la consapevolezza di essere liberi.

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