Hate Speech: Harry e Meghan lasciano i social a causa dell’odio

Il principe Harry e la moglie Meghan hanno deciso di abbandonare i social network, dicendo di essere rimasti ”delusi dall’odio incontrato online”, meglio conosciuto come hate speech, non avrebbero intenzione di farvi mai più ritorno. Non useranno neppure i social network per promuovere la loro nuova Fondazione Archewell.

Comunicazione

All’inizio della loro vita di coppia dentro alla Royal family, i Sussex con la scelta di alcuni consulenti di comunicazione, avevano anzi fatto intendere di volersi affidare per le loro comunicazioni future anziché ai media tradizionali proprio al canale dei social. Più diretto, personale.

Ma anche loro, come molti personaggi del mondo dello spettacolo, e non solo, sono stati vittime dell’hate speech, cioè l’incitazione all’odio che sulle piattaforme, che può diventare molto violento. Meghan con il suo passato, le sue battaglie civili, come per esempio il sua simpatia per il movimento Black lives matter, è stata un facile bersaglio. Infatti, durante il Teenager Therapy podcast, Meghan non ha potuto fare a meno di esprimere la sua amarezza per “essere stata nel 2019 la persona più presa di mira dai troll online”.

Hate speech

Molto spesso sentiamo parlare di persone che hanno ricevuto commenti di odio e insulti sulle proprie pagine social. Qui in Italia abbiamo l’esempio di Claudia Alivernini: l’infermiera di 29 anni che è stata la prima, nel nostro Paese, a ricevere il vaccino contro il Covid. La giovane si è vista costretta, anche lei, a chiudere tutti i suoi social network a causa degli insulti e minacce di morte da porte dei no-vax.

Il fenomeno dell’odio online è conseguenza di una grave incapacità comunicativa. I social hanno permesso che la repentinità di idee, contenuti, stati d’animo, esigenze personali, diventassero pubbliche nel più breve tempo possibile.

Michela Murgia, autrice del bestseller Accabadora, afferma: “Ciascuno di quei commentatori, preso singolarmente, ha motivi, frustrazioni e limiti differenti per esprimersi in quel modo. La domanda vera è un’altra. A chi serve creare spazi in cui quel registro violento smette di essere un eccesso personale e diventa espressione collettiva?”.

L’analfabetismo funzionale

A questo, si aggiunge un fenomeno sociale sempre più radicato: l’analfabetismo funzionale.

In Italia, gli analfabeti funzionali contano circa il 28% della popolazione dai 16 ai 65 anni, secondo  l‘indagine Piaac – Ocse.

Essere analfabeti funzionali significa decifrare poco e male. Non avere gli strumenti adatti per un’analisi critica. Ne sono un esempio concreto quei utenti che condividono le fake news, senza prima informarsi sulla veridicità della notizia appena letta. Questo porta ad un incremento elevato delle polemiche, che poi sfociò e nel odio.

 

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