La denatalità in Italia, un’allarmante emergenza socio – economica

Nelle società moderne si è abituati a ritenere che la misura di due figli per donna costituisca un rapporto equilibrato tra le generazioni. Purtroppo, in Italia, ormai da tempo, questo rapporto si è attestato su valori notevolmente più bassi, toccando ultimamente quota 1,24. Inoltre, le stime recentemente rese note dall’ISTAT, certamente, non rassicurano. Prevedendo per quest’anno nel nostro Paese tra le 384mila e le 393mila nuove nascite, dopo un 2020, chiuso all’ insegna del record negativo di 404mila.

Un’eccezione a questa tendenza al ribasso, nel corso dei due primi decenni di questo secolo. Si è registrata, in realtà, solo tra il 2006 e il 2010. È stata legata sostanzialmente ai flussi migratori di quel periodo e ai relativi aspetti di ricongiungimento familiare. Se il trend al ribasso dovesse prolungarsi, sempre secondo la stessa fonte, l’Italia nello scenario peggiore precipiterebbe intorno alla metà di questo secolo al di sotto delle 350mila unità.

In questa analisi dell’ISTAT sulle tendenze demografiche del nostro Paese vi sono due altri aspetti preoccupanti.

Aspetti preoccupanti sui figli

Il primo riguarda la diminuzione del numero delle potenziali madri. Le attuali 35enni sono circa 334mila, oltre 100mila in meno delle 45enni, ma, purtroppo, solo 50mila in più delle 25enni. Un dato che incombe minacciosamente sullo sviluppo demografico prossimo futuro del Paese. Va inquadrato anche nell’assottigliamento complessivo del numero di residenti (tra il 2015 e il 2019 sceso di oltre 700mila unità ). A cui va aggiunta la cifra della mortalità in eccesso del 2020 (99mila decessi in più rispetto alle medie di lungo periodo) per gli effetti tragici della pandemia da Covid’19.

Il secondo aspetto preoccupante riguarda il rapporto tra bisnonni e pronipoti. Nel campione statistico esaminato di oltre 25 milioni di residenti ci sono più ultraottantenni (i bisnonni) che bambini di età inferiore ai 10 anni (i pronipoti). Né è più rassicurante il dato medio nazionale, che risulta sostanzialmente attestato su un livello paritario.

Dagli aspetti sociali a quelli economici, si sottolinea l’invecchiamento progressivo della popolazione. Questo farà entrare il Paese in una situazione critica sotto l’aspetto del delicato equilibrio tra mercato del lavoro e mondo pensionistico. Negli anni ’90 del secolo scorso, infatti, vi erano 26 residenti in età pensionabile per ogni 100 in età di lavoro; nell’ultimo quinquennio si è passati a 39 per ogni 100 e la quota è destinata ad aumentare ulteriormente nei prossimi decenni fino a toccare nel 2050 il tetto dei 60.

Gli ultranovantenni

Inoltre, l’ingrossamento della fascia di ultranovantenni, che presto sfonderà il muro del milione di unità, e che, purtroppo, è destinato a un incremento rilevate di oltre 600mila persone per la metà di questo secolo, non sarà certo privo di effetti sulla spesa medico – ospedaliera e, più in generale, assistenziale. Un enorme fardello che ricadrà con conseguenze negative  sulle finanze pubbliche e sui bilanci delle famiglie.

Per una radicale inversione di tendenza del tasso di natalità in Italia e per scongiurare i devastanti  effetti economici correlati occorrerà, dunque, ripensare totalmente le misure di sostegno economico per la nascita, ma anche le misure legate  all’estensione e all’irrobustimento dei servizi per l’infanzia. Un aspetto, solo in parte toccato dall’ultimo PNRR con risorse che appaiono purtroppo insufficienti ad incidere efficacemente sul tasso di natalità e a riportarlo in linea con l’obiettivo medio europeo di 1,75 figli per donna, da cogliere entro il 2030.

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